Nessuno vince veramente una guerra. Oltre ai danni e alle perdite quantificabili in superficie, il fondo nasconde lesioni e traumi incalcolabili. Curata da Benedetta Carpi De Resmini, Spazi di Resistenza al Mattatoio di Roma decide di mettere in mostra quella terra di mezzo che separa l’esterno dall’interno, una zona franca che raccoglie e riconcilia le memorie del passato con il vissuto quotidiano. A trent’anni dalla fine delle violenze e dalla firma dei trattati di pace in Bosnia-Erzegovina, le fratture sono ancora visibili, ma è proprio questo il presupposto per poterle ricucire.
La neve si sta ancora sciogliendo quando la sponda sinistra del fiume Drina, al confine con la Serbia, viene attaccata, occupata e ripulita dai non serbi. Waterline (2024) di Simona Barzaghi percorre il fiume in barca, un ago che prova a cucire uno strappo lungo 23,81 km, raccogliendo le memorie che zampillano ancora vive sulla superficie dell’acqua. È l’inizio di una violenta campagna di pulizia etnica: la popolazione bosniaca viene espulsa dalle città; nei campi di concentramento migliaia di uomini bosniaci musulmani vengono torturati ed uccisi, migliaia di donne musulmane violentate sistematicamente come arma di guerra. A Sarajevo comincia il più lungo assedio della storia contemporanea, che durerà quasi quattro anni: è il 6 aprile 1992.

Waterline Below the line 2024
installazione strisce di tessuto rosso e taniche contenenti acqua
300 x 200 cm
© Simona Barzaghi
Courtesy lartista
L’erba di Sarajevo #2 (1998-2025) di Gea Casolaro è incolta, più viva che mai, ma nasconde un segreto letale, bisbigliato tra i sottili fili verdi: “A Sarajevo durante l’assedio dovevi aver paura anche dell’erba. Ogni piccola aiuola poteva nascondere una mina”. Sono passati pochi mesi dall’inizio della guerra. È già estate e una domanda risuona tra gli eco delle bombe e degli spari: Arriveranno? Arriveranno. Il Consiglio di Sicurezza ONU invia i caschi blu, ma con regole d’ingaggio deboli e inefficaci, come la luce lampeggiante della parola “ill” sulle scritte al neon WILLCOME (arriveranno), un gioco di parole con WELCOME (benvenuti) che, unita a REFUGEES, lascia l’amaro in bocca.

Gli attacchi non si fermano e nemmeno gli stupri. No teeth…? A mustache…? Smell like shit…? È una Bosnian Girl (2003), scrive un soldato ONU sul muro di una caserma, eppure il volto di Šejla Kamerić è così bello e serio che gli insulti non reggono il confronto e le parole si fanno manifesto, come l’appello lanciato dagli abitanti di Sarajevo. “Ciao Europa, siamo il mondo” scrivono centinaia di persone, tra cui studenti di ogni grado, riuniti sul ponte Drvenija nell’agosto del 1994. Lungo la riva del fiume si spiega una bandiera con la scritta “Questo non è un muro”, mentre la corrente trasporta alcune bottiglie con messaggi simili.
Non basta. È l’11 luglio 1995: a Srebrenica, zona sicura, le forze serbo-bosniache massacrano oltre ottomila uomini e ragazzi musulmani sotto gli occhi inermi delle truppe ONU olandesi. È il peggior crimine di guerra in Europa dalla Seconda Guerra Mondiale. Finalmente l’opinione pubblica internazionale cambia e la NATO avvia pesanti bombardamenti contro le postazioni serbe: nel novembre 1995, con la mediazione degli Stati Uniti, i leader della Bosnia ed Erzegovina, della Croazia e della Serbia firmano gli Accordi di pace a Dayton.
Ma l’estate non è finita, SUMMERISNOTOVER (2014-2025) scrive Šejla Kamerić sui fogli di giornale piantati a terra dalle pietre, macerie delle esplosioni fotografate in prima pagina. La Bosnia-Erzegovina diventa uno Stato unico, ma diviso in due entità: la Federazione di Bosnia ed Erzegovina (bosniaco-croata) e la Repubblica Srpska (serba). Si provano a raccogliere i pezzi di una bandiera frammentata, fatta di tanti piccoli stracci come quelli che Romina De Novellis prova a pulire con Na Cl O (2015-2025), il principio attivo della candeggina: una performance installativa adattata agli spazi del Mattatoio, dove un tempo si lavavano gli animali prima del macello.

NA Cl O 2015 2025
NA Cl O 2015
Performance installativa con 11 Polaroid
Misure ambientali
Courtesy Galleria Alberta Pane Parigi Venezia
Si contano i morti, sono tanti, troppi. Sul terreno delle fosse comuni crescono semi e piante di ortica, salice, rosa canina che Smirna Kulenović raccoglie di villaggio in villaggio e trasforma in carta vegetale fatta a mano con SILENCE OF THE LAND (2024): una base fragile ma resiliente da cui ripartire per generare vita nuova.
Un cumulo di terra nera occupa la fine della navata centrale: come un altare maggiore, accoglie i fedeli in ginocchio, chiamati ad ascoltare i canti bosniaci intonati dalle donne anziane, custodi di una saggezza ancestrale. Down to Earth (2025) di Smirna Kulenović è una fase del cammino rituale da affrontare per guarire dalle ferite, le stesse che bruciano come i campi in Burning Field (2017) di Mila Panić, per poi rinascere dalle ceneri come cicatrici sulla pelle.

Dal 2002 ogni anno, nel Giorno del Ricordo, si recita la Preghiera di Srebrenica: “Che le lacrime delle madri diventino preghiere, affinché Srebrenica non accada mai più”. Oggi, però, le preghiere non sembrano essere state ascoltate, eppure le madri non hanno mai smesso di piangere.



