Tra pixel e particelle: l’universo espanso di Giuliana Cuneaz nella New Media Art

Studiando la storia della New Media Art è impossibile non incontrare il nome di Giuliana Cuneaz. Dopo averla vista più volte in occasione di sue mostre, finalmente entro nel suo studio: è come varcare la soglia di una camera delle meraviglie, tra macrocosmi di visionarie estetiche 3D e microcosmi di sculture. Giuliana mi racconta la sua storia, dalle origini fino alle più recenti sperimentazioni con l’IA. Poi mi porge un paio di occhiali 3D: sullo schermo scorre un video stereoscopico che mi riporta indietro negli anni: è “Zone fuori Controllo” del 2011. Mi sento come un’astronauta atterrata su un mondo parallelo, tra iceberg e tempeste.

Microcristalli, paesaggi, corpi, stati di coscienza, quantum: l’universo di Giuliana è mobile e stratificato. I suoi lavori – dalle installazioni fisiche a quelle più immersive – non cercano solo effetti: chiedono attenzione, formulano domande, creano connessioni.

Giuliana esplora da decenni le potenzialità estetiche e concettuali delle nuove tecnologie. La sua ricerca attraversa oltre quarant’anni di produzione e ricerca artistica: dalle installazioni ambientali degli anni ’80 alla realtà aumentata, dalla scultura all’intelligenza artificiale. Scienza e poetica visiva si incontrano. La tecnologia diventa strumento e materia viva.

Di Giuliana mi ha sempre colpito l’eleganza, la forza e la determinazione, qualità che ben ritrovo nella solidità della sua ricerca e nella capacità di trasformare ogni progetto in un atto di visione. In un’epoca di saturazione visiva e iper-produzione, il suo lavoro ci impone un tempo diverso, profondo. Un tempo che vuole sedimentare forme ed idee. Questa intervista è un invito a scoprire proprio la bellezza della ricerca di un’artista che ha scelto di ridefinire continuamente i propri confini e di dare una chiara direzione alla sua sperimentazione artistica. 

La belle au bois dormant 2023 Installazione multimediale con IA veduta dellinstallazione

Quando nasce l’artista Giuliana Cuneaz?  C’è un momento preciso in cui hai capito che l’arte sarebbe stata il tuo linguaggio?

La mia passione per l’arte si è sviluppata intorno ai dodici anni mentre attraversavo uno dei momenti più difficili della mia vita. Soffrivo di crisi di panico in seguito a forti traumi vissuti per la morte di due miei compagni di scuola scomparsi a pochi mesi di distanza. Mi era sempre piaciuto disegnare, ma a quell’età ho sentito una spinta misteriosa che mi conduceva più lontano rispetto al semplice piacere del disegno. I primi lavori diciamo “artistici” li ho realizzati in quel periodo con matite e inchiostri, sempre in bianco e nero, quasi in uno stato di trance. Di fronte al primo disegno rimasi impressionata: non riuscivo a credere di averlo realizzato io. Un inizio che ha segnato il mio cammino. Successivamente ho frequentato l’Accademia a Torino e la mia consapevolezza è cresciuta sempre più. Ma ancora oggi mi capita talvolta di provare un certo stupore dinnanzi a talune mie opere.

Se penso ai tuoi lavori, trovo una grande alchimia di temi e medium che messi insieme creano le tue opere che tanto ci incantano. Dal corpo umano fino al nanomondo: quanto il mondo scientifico è entrato nel mondo di Giuliana?

Direi molto presto. La prima grande installazione ambientale dal titolo Archéopteryx l’ho realizzata ad Aosta nel Teatro Romano a metà degli anni ottanta. Era un lavoro ambientale e interattivo che nasceva dalla volontà di catturare l’impronta delle stelle in relazione alla rotazione terrestre. Tutto questo avveniva all’interno di tre coni specchianti e “abitabili” con al vertice un foro stenopeico. Questi elementi funzionavano come veri e propri apparecchi fotografici o videocamere. Nei primi anni novanta ho poi lavorato molto sul corpo immaginato. Principalmente, erano sculture in plexiglass e ferro che dialogavano con immagini scientifiche e riprese video realizzate durante interventi chirurgici. Ero affascinata da antiche tavole illustrate di anatomia dove il corpo rappresentato appariva un’ibridazione tra i mondi vegetali, animali e umani.

Mi interessava indagare le componenti che riguardano la percezione di noi stessi. Mi stupiva pensare che mentre conosciamo bene il nostro aspetto esteriore, per apprendere le sembianze e il funzionamento degli organi è necessario studiarli a scuola. Io stessa, da piccola, pensavo che il nostro apparato gastrointestinale fosse in plastica e in metallo, come gli elettrodomestici che vedevo usare da mia madre e fu uno shock quando scoprii la sua forma reale e la sua consistenza. Ma sono stati molti i miei ambiti d’interesse e mi sono occupata anche di trance e degli stati di coscienza cercando così di analizzare la natura misteriosa e metamorfica della coscienza. Tale ricerca mi ha condotta a frequentare sciamani, medium, ipnotisti, psichiatri. Quello che però ha rappresentato un reale detonatore è stata la scoperta delle teorie di fisica quantistica, delle nanotecnologie e della computer grafica. La svolta è avvenuta nel 2003. In sintesi, posso dire che la mia ricerca è proseguita in parallelo con i miei interessi scientifici, dall’astronomia all’antropologia, dalla neuroscienza alla fisica quantistica, forse perché sono affascinata dagli stessi argomenti e ne condivido i medesimi interrogativi.

Zona Franca 2004 Videoinstallazione progetto

Zona Franca ha segnato il tuo passaggio al 3D. Cosa ti ha spinta in quella direzione?

Mi interessava creare mondi in trasformazione e il video poneva molti limiti a riguardo. Ho lavorato al progetto di Zona Franca nel 2003 invitando le persone a salire sui tetti e a realizzare lì un proprio sogno o desiderio di carattere irrazionale ed emotivo. In tal modo, si sono materializzati personaggi incredibili. L’installazione finale consisteva in una serie di schermi inclinati e sospesi per evocare l’architettura di un quartiere inesistente. Le figure dei personaggi si alternavano migrando da uno schermo all’altro in modo da creare un universo dinamico in costante trasformazione. Un’altra importante metamorfosi era stata il passaggio da una visione realistica dei tetti a una visione quantica o molecolare; i coppi rossi lentamente mutavano fino ad apparire come misteriose superfici in lana o dune del deserto. In realtà, erano immagini in nanoscala di DNA. Era una maniera per addentrarsi, oltreché nella dimensione fisica dello spazio, anche negli strati più profondi e infinitesimali della materia. Questa installazione ha sicuramente rappresentato una svolta avvicinandomi all’animazione 3D e alle immagini legate al mondo delle nanotecnologie che da allora hanno accompagnato i miei lavori.

Qual è il tuo rapporto con il pubblico? 

Le reazioni o l’opinione del pubblico mi interessano molto. È sempre una fase intensa e stimolante. Quando presenti un’opera nuova, la visione si amplifica e si dilata in relazione all’interlocutore. È una strana sensazione in quanto è come se anch’io la stessi vedendo per la prima volta e assumessi il ruolo dello spettatore o del critico. Talvolta l’opera esce dallo studio e la mia visione coincide con quella dell’osservatore in quanto mi capita di vederla montata nello spazio che era descritto solamente nelle mie simulazioni al computer. Generalmente il pubblico ha il potere di renderti più consapevole e di moltiplicare i punti di vista evidenziando gli aspetti meglio riusciti così come le pecche…Non c’è nulla che si possa nascondere.

Quali strumenti senti oggi più affini alla tua ricerca artistica? 

Amo sia lavorare con mezzi sofisticati che la tecnologia oggi ci mette a disposizione, sia con materiali tradizionali. Interagendo molto con il computer, però proprio in questi giorni pensavo al rischio di “perdere le mani”. Questo avviene perché i tempi di lavorazione di un’opera manuale sono più lunghi e meno performanti, quindi la tentazione di abbandonarla è forte. Ma a trattenermi è il fatto che sono interessata alla relazione tra virtualità e matericità sviluppando dialoghi e relazioni all’apparenza impossibili. Non intendo accostare tecniche differenti, ma evidenziare connessioni profonde e fortemente problematiche sul divenire della forma e sulle origini della creatività.

Con la serie Zone Fuori Controllo affronti l’ecologia e le crisi ambientali in 3D. Che ruolo attribuisci all’arte nell’era tecnologica e della crisi climatica?

Il ruolo dell’arte credo sia sempre lo stesso. Non riuscirà a cambiare il mondo, ma sicuramente riesce a renderlo più interessante, seducente e misterioso. L’arte inoltre ci pone di fronte a interrogativi o problematiche sulle quali è utile riflettere e lo fa in modo del tutto singolare permettendo a chiunque di assorbirne i significati. Zone Fuori controllo è un’installazione immersiva del 2011-2013 dedicata a problematiche particolarmente attuali quali le catastrofi naturali e i disordini ecologici, andando incontro a ipotesi che consentono un viaggio simulato e perturbante tra le onde di una tempesta, gli spazi misteriosi di una grotta, le colate laviche di un vulcano e la collisione di mastodontici iceberg. Un’opera che ci mette di fronte alle nostre responsabilità e alla precarietà del nostro vivere.

Giuliana Cunéaz Matter waves unseen 2013 Ferro legno plexiglass led sabbia televisore HD microcomputer e 45 sculture in argilla cruda dipinta 165 x 1135 x 40 cm courtesy MNAD Museo nazionale dellArte digitale

Con opere recenti come La Belle au Bois Dormant (ma non solo) hai introdotto l’IA. Come dialogano queste tecnologie con la tua poetica?

Questo lavoro l’ho concepito nel 2023 attraverso l’IA. L’opera consente allo spettatore un’esperienza emozionale. Non c’è più una singola opera da contemplare, bensì un’azione che colloca al centro la personalità del singolo fruitore. Ciascuno, sdraiandosi sul letto, si trova di fronte a una visione individuale, proiettata su un monitor incastonato nella parte interna del baldacchino. È lui stesso a innescare il procedimento scrivendo una frase su un tablet. La tipologia grafologica dello spettatore determina la comparsa delle immagini sul monitor e le loro caratteristiche. Tale scritta viene rielaborata in base a una serie di input per mezzo dell’IA. Segno e sogno trovano una loro sintesi e compare un’animazione personalizzata di un minuto in modo che ciascuno abbia un suo “sogno” da ricordare e da visualizzare. Il sogno è ancora un mistero che ha suscitato interesse e curiosità anche da parte della scienza, della psicologia, della filosofia e di tante altre discipline. Essendo un’esploratrice dell’invisibile, non potevo che lasciarmi sedurre. L’unico timore della mia indagine condotta due anni fa (con l’evoluzione tecnologica dell’IA sembra sia passato un secolo) era quello di dover rinunciare a parte della mia estetica. Ma questo non è avvenuto e l’opera, in tutte le sue componenti, mantiene intatto il mio linguaggio. Ciò è avvenuto anche grazie all’aiuto tecnico di Roberto Beragnoli, un amico artista, esperto in IA. Oggi questi timori non li ho più e conosco le potenzialità e i limiti del mezzo che utilizzo esclusivamente in funzione delle mie necessità. 

Giuliana Cunéaz Matter waves unseen 2013 Ferro legno plexiglass led sabbia televisore HD microcomputer e 45 sculture in argilla cruda dipinta 165 x 1135 x 40 cm courtesy MNAD Museo nazionale dellArte digitale

La tua opera “Wunderkammer Digitale” è stata acquisita dal MNAD, il Museo nazionale dell’Arte digitale ed esposta sino al 15 dicembre al Museo Archeologico Nazionale della Lomellina – in dialogo con splendidi reperti archeologici. Scienza, memoria, digitale e scultura dialogano insieme. Come hai costruito questa connessione?

Desideravo creare un dialogo tra la componente digitale e la camera delle meraviglie nata tra la fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento quando gli umanisti volevano metaforicamente riunire tutto il sapere del mondo in un unico spazio. La mia installazione Matter Waves Unseen recupera, anche teoricamente, quel principio. Ho collocato in uno stipo da collezionista quattordici cassetti trasparenti con cinquanta piccole sculture di argilla e madreperla intese come parte integrante di un processo magmatico e magnetico che coinvolge il video inserito all’interno della struttura. L’opera digitale, realizzata con la tecnica dell’animazione 3D, mostra onde di terra che, nel loro flusso continuo, portano alla luce oggetti dalle forme differenti in un rimando diretto con quelli che l’osservatore ritrova nei cassetti.

Si sviluppa dunque un unico processo unitario con lo spettatore al centro che non sa più esattamente cosa sta osservando. Il mondo reale è inglobato in quello digitale e viceversa stabilendo un nuovo ordine delle cose. Le forme, tra nanostrutture e molecole celate all’interno della materia, sono innumerevoli e spesso assomigliano realmente ad antichi reperti archeologici. Io non ho inventato quelle forme ma le ho viste al microscopio; in seguito mi sono attivata per ricrearle e interpretarle assegnando loro una nuova collocazione nel macromondo. Creare un piccolo archivio di queste forme e vederlo oggi inserito tra le meraviglie esposte al Museo Archeologico Nazionale della Lomellina è una vero piacere.

Progetti futuri?

A ottobre, in coincidenza con ArtVerona, verrà inaugurata a Palazzo della Ragione  “Terra”, una mostra curata da Patrizia Nuzzo dove sono presenti con una serie di lavori dedicati al mio ultimo ciclo sugli Spiriti della Terra. Nell’occasione espongo anche alcune sculture inedite in terracotta e resina. Sempre in ottobre, in occasione con il Gran Premio di Formula 1 verrà realizzato a Singapore un progetto espositivo a cura di Nadia Stefanel che ha per tema la fisica quantistica: espongo con un nuovo allestimento la mia installazione Quantum Quirks (l’ho già presentata a Manchester sulla facciata della School of Digital Arts) dove affronto gli aspetti più sorprendenti e misteriosi del mondo quantico. La Belle au Bois dormant infine verrà presentata nel mese di ottobre da Chiara Canali all’Università Iulm di Milano in concomitanza con il Festival dell’AI. 

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