Tra pittura e algoritmo: la creatività ibrida di Fragola e Giampaglia nella mostra Freeze Frame

Qual è il confine tra la pratica manuale e le nuove forme della creatività digitale? È la domanda a cui hanno provato a rispondere Piero Fragola e Matteo Giampaglia nella mostra intitolata Freeze Frame. L’esposizione sarà inaugurata il 5 aprile presso “L’Ariete artecontemporanea” di Bologna. La galleria, diretta dal 1983 da Patrizia Raimondi, in via Marsili 7, si prepara ad accogliere la personale dei due fiorentini.

Piero Fragola, grafico e sound designer, è attivo sia nel campo visivo che in quello sonoro e docente presso la LABA e lo IED di Firenze. Matteo Giampaglia, pittore e scultore, dopo aver sperimentato con grafica e fumetto, ha sviluppato opere intermediali e collaborato con collettivi artistici, realizzando dipinti, video e installazioni. Nel 2024, i due hanno portato, prima alla Gigi Rigliacco Gallery di Galatina, poi negli spazi espositivi dellʼAccademia di Belle Arti di Lecce, la mostra I’m not a robot con Fabrizio Ajello e Francesco D’Isa, dedicata allʼuso dellʼintelligenza artificiale nellʼarte figurativa. Tra qualche giorno, presenteranno al pubblico il loro ultimo lavoro, mostrando nelle stanze della galleria bolognese tele raffiguranti soggetti algidi, sospesi nel tempo e nello spazio, immobili, poiché pietrificati come fossero statue e quasi scontornati, indistinguibili dai muschi che li circondano.

Pasquale Fameli, curatore della mostra, spiega cosa vedremo il prossimo 5 aprile: “Il progetto artistico nasce dall’esigenza di esplorare il confine tra la pratica manuale e le nuove forme della creatività digitale. Le opere connesse a questo progetto nascono dall’interazione tra l’intelligenza artificiale e la sensibilità umana, combinando algoritmi text-to-image, editing digitale e pittura a olio. La programmazione dei software genera una serie di corpi androgini che, una volta riprodotti su tela, assumono un’impropria consistenza. Il processo di elaborazione delle immagini culmina poi nell’intervento pittorico che accentua gli effetti tonali del muschio che li ricopre”.

Com’è dialogare con l’IA?

Instaurare un dialogo con l’intelligenza artificiale è stato un processo affascinante: le immagini che abbiamo creato parlano di identità fluide e trasformazione. È una riflessione sulla nostra percezione della realtà e sul ruolo dell’IA come strumento statistico, uno specchio attraverso cui la società osserva sé stessa».

In che modo l’intelligenza artificiale incontra l’arte?

L’uso della pittura diventa un atto materico necessario, il punto di incontro tra la creazione artificiale e la permanenza della materia, un labile confine, dove il digitale si fa tangibile

In questa ambiguità si colloca “Freeze Frame”. Come nasce?

Freeze Frame, in gergo tecnico, indica il fermo immagine: quel fotogramma capace di cristallizzare un momento di transizione estatica, un equilibrio sospeso tra le forme. È l’istante in cui la figura umana si fonde con la statua e il muschio, dove l’editing digitale si intreccia con il tratto pittorico. Il progetto gioca con le ambiguità di questa terra di confine, dove lo spettatore si interroga sulla natura dell’opera e sul margine dell’intervento umano. Sembra quasi che queste figure ritornino alla vita da un passato che era già futuro.

Qual è l’obiettivo della mostra?

Proseguire l’analisi e la riflessione sull’impatto sociale dell’intelligenza artificiale avviate con “The New Fables” all’interno della mostra “I’m Not a Robot”. I sistemi generativi TTI vengono ancora una volta utilizzati per definire i canoni estetici verso cui si orienta l’immaginario collettivo. Questa volta l’attenzione si sposta dalla dimensione fantastica e dal simbolismo dello zombie per esplorare il canone della bellezza androgina, al tempo stesso innovativo e classico

Per quanto riguarda le differenze rispetto all’esposizione precedente, ne parla ancora una volta Pasquale Fameli: “La generazione delle immagini non avviene mediante l’inserimento di prompt preimpostati, ma scritti appositamente per escludere i preset, gli stili predefiniti del software. La discrezione dell’intervento pittorico vuole portare poi l’osservatore a interrogarsi sul confine tra il risultato digitale e l’apporto manuale, generando una coalescenza, una fusione irreversibile tra le due entità“.

Il risultato sono figure che, come si scrive nel testo introduttivo all’esposizione, “abitano un universo sospeso tra realtà e simulazione: identità imprecisate che popolano un mondo posto al di fuori di qualsiasi coordinata spaziotemporale“. Un mondo che, immortalato nel momento di quello che sembra essere uno scatto fotografico, appare libero da qualsiasi pregiudizio: privo del passato, così come del presente e del futuro, privo di età e delle distinzioni di genere ed etnia, privo di tutti i canoni e i preconcetti a cui l’occhio umano è stato abituato. Prima che un’IA – guidata da professionisti – lo mettesse in dubbio.

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