Dopo il tutto esaurito delle scorse stagioni e una lunga tournée, torna, dall’1 al 5 ottobre, al Piccolo Teatro Strehler, Tre modi per non morire. Baudelaire, Dante, i Greci, a partire dai testi di Giuseppe Montesano, con Toni Servillo, recentemente premiato con la Coppa Volpi, al Festival del Cinema di Venezia. Quello che prosegue, proprio in apertura della programmazione autunnale, è un viaggio in tre tappe, un percorso che è un antidoto alla paralisi del pensiero e alla non-vita che tenta di ingoiarci.
“Tre modi per non morire”, nuovamente in scena al Piccolo Teatro di Milano per l’inizio di una tournée che lo porterà in giro per l’Italia toccando, tra gli altri, i teatri di Roma, Bologna e Pavia, è un viaggio, più che uno spettacolo teatrale, attraverso la poesia e l’arte in un momento sociale di estrema aridità emozionale e di indifferenza nei confronti di ciò che succede nel mondo. Il sipario è aperto su una scena popolata da un microfono e un leggio, unico sostegno alla recita del monologo che lo scrittore partenopeo Giuseppe Montesano ha redatto appositamente perché fosse recitato da Toni Servillo in poco più di un’ora e venti, senza intervallo.

Come suggerito dal titolo, lo spettacolo è suddiviso in tre capitoli distinti, separati da un gioco di luci e colori complementari e da una musica grave e profonda che stimola la riflessione dei diversi momenti. Si comincia con Charles Baudeaire, con cui la poesia diventa antidoto contro dolore e indifferenza, contro una società consumistica e iperproduttiva, ma intrappolata nell’eterna notte di una vita incapace di godere dei piccoli piaceri quotidiani, come il profumo di una cena calda, la sera, davanti al fuoco, o la silenziosa compagnia della persona amata.
Con Dante si esplorano alcuni gironi dell’Inferno, partendo non a caso da quello degli ignavi, coloro che non prendono parte né decisioni, la cui analisi risuona terribilmente con il momento sociale e politico che stiamo vivendo in questo momento. La realtà di oggi è, o appare essere, il regno degli ignavi, dei «tiepidi che sanno delle stragi e girano la faccia dall’altra parte», di chi non si schiera mai né si batte per difendere i propri ideali e i propri desideri. Gli eterni neutrali, se vogliamo utilizzare un linguaggio più conforme ai nostri giorni, si scontrano con Ulisse, che dà la propria vita per la sua sete di conoscenza, e Paolo e Francesca, che muoiono per il desiderio di amare e essere amati. Una minoranza, una manciata di miracoli umani che riescono a portare un raggio di luce nella grigia apaticità di oggi. La chiusura della pièce è affidata agli antichi Greci, la culla della cultura europea, ora appiattita all’idolatria del potere e del denaro piuttosto che al desiderio di libertà per tutti i popoli, all’esaltazione del bello e alla verità del teatro. Dal Mito della Caverna di Platone all’esortazione di non andare a votare possono passare decine di secoli, oppure un attimo.

Un testo così profondo come “Tre modi per non morire” colpisce chi lo legge nella solitudine della propria casa, ma necessita di ottime doti attoriali perché susciti le stesse emozioni a un pubblico teatrale. Toni Servillo riesce a dare pieno senso e pathos allo spettacolo per la sua indiscussa capacità di utilizzare più linguaggi comunicativi, variandoli con fluidità e immediatezza. Basta un gesto, un’espressione o un cambio di accento – particolarmente d’impatto è il terzo capitolo, “Il fuoco sapiente”, recitato con chiara cadenza napoletana e qualche parola in dialetto – per cambiare l’atmosfera sulla scena meglio di qualsiasi intensità di luce o tonalità di colore.
Nello spettacolo in scena al teatro Strehler di Milano, la poesia è l’unico modo per non morire, declinata in tre o trecento modi diversi. L’unico modo che abbiamo di vivere davvero, sembrano dirci Montesano e Servillo, è tornare a sentire, a credere e a sognare. In una parola, tornare a essere umani.



