L’emergere delle intelligenze artificiali ha riportato al centro del dibattito pubblico questioni di norma confinate nelle aule accademiche. Visto l’avanzare delle IA in complessità, la domanda sulla natura della coscienza è diventata urgente e inevitabile. Al cuore di questo interrogativo si trova il problema del libero arbitrio, che può esserci solo e solamente se esiste una coscienza realmente autonoma. Ma la coscienza emerge dalle leggi fisiche che governano il cervello, oppure ha un’origine extra-fisica che la distingue radicalmente dalla computazione (sia essa biologica o elettronica)? La risposta a questa domanda fondamentale determina non solo la nostra comprensione di cosa significhi essere umani, ma anche le implicazioni etiche e filosofiche del progresso tecnologico.
Il determinismo radicale di Spinoza
Nel 1677, quando Baruch Spinoza pubblicò la sua Etica dimostrata secondo l’ordine geometrico, l’Europa era ancora immersa in una visione del mondo che poneva l’uomo al centro della creazione, dotato di un’anima razionale capace di scelte libere e responsabili. La proposta spinoziana suonava allora come una provocazione radicale: “Gli uomini si credono liberi perché ignorano le cause che li determinano.” Oggi, dopo tre secoli di sviluppo scientifico, questa intuizione risuona alla luce delle scoperte neuroscientifiche moderne.
La metafisica di Spinoza si costruisce su un principio fondamentale: tutto ciò che esiste è parte di un’unica sostanza infinita, che il filosofo olandese chiama indifferentemente Dio o Natura. Questa sostanza non agisce per fini o scopi, ma secondo una necessità assoluta che governa ogni evento, dal movimento delle stelle ai pensieri più intimi dell’uomo. Non esiste contingenza nell’universo spinoziano: tutto ciò che accade doveva necessariamente accadere, e tutto ciò che non accade è impossibile. L’uomo si illude di essere libero semplicemente perché è consapevole dei propri desideri ma ignora le infinite catene causali che li hanno determinati.
Gli esperimenti di Libet: una finestra sui meccanismi della decisione
Questa visione deterministica sembrava destinata a rimanere una speculazione filosofica, eppure, gli esperimenti condotti da Benjamin Libet negli anni Ottanta del secolo scorso hanno aperto una finestra inaspettata su meccanismi della mente che Spinoza aveva intuito solo attraverso il ragionamento. Quando Libet collegò i suoi soggetti a un elettroencefalografo e chiese loro di muovere la mano liberamente, scoprì qualcosa di sconcertante: l’attività cerebrale che precedeva il movimento iniziava circa 350 millisecondi prima che la persona diventasse consapevole della propria intenzione di muoversi.
Prima il cervello si attivava, poi emergeva la consapevolezza soggettiva di voler agire, infine si verificava il movimento. La coscienza, lungi dall’essere l’origine della decisione, appariva come uno spettatore che arrivava a teatro mentre lo spettacolo era già iniziato.
Esperimenti successivi hanno rafforzato e approfondito questi risultati. John-Dylan Haynes e i suoi colleghi al Max Planck Institute sono riusciti a prevedere le scelte dei soggetti con un anticipo di diversi secondi, utilizzando scanner cerebrali ad alta risoluzione per identificare pattern di attivazione in aree specifiche della corteccia. Il paradosso si amplifica: non solo la coscienza non è l’origine delle decisioni, ma queste sembrano essere prevedibili con largo anticipo da un osservatore esterno che abbia accesso ai dati neurali.
Convergenze e distinzioni tra filosofia e neuroscienze
Ma quale rapporto esiste realmente tra queste scoperte empiriche e la metafisica spinoziana? La tentazione di vedere negli esperimenti di Libet una conferma diretta del determinismo di Spinoza è forte, ma rischia di essere fuorviante. Spinoza non stava parlando di meccanismi neurali specifici o di tempi di reazione in millisecondi. La sua era una teoria dell’intera struttura della realtà, basata sulla ragione più che sull’osservazione empirica.
Tuttavia, occorre distinguere tra il determinismo spinoziano – una necessità logica che permea l’intera realtà – e i meccanismi causali specifici rivelati dalle neuroscienze. Mentre gli esperimenti di Libet riguardano azioni motorie semplici, Spinoza sosteneva che anche le decisioni complesse, come scegliere di sposarsi, sono determinate dalla nostra natura e dalle nostre esperienze, indipendentemente dal livello di complessità. Per lui, la questione non è se alcune decisioni siano libere e altre determinate, ma come l’illusione della libertà si manifesti a diversi gradi di articolazione.

La coscienza come “idea del corpo”
Ma forse l’aspetto più profondo della convergenza tra Spinoza e le neuroscienze moderne riguarda la concezione della coscienza stessa. Per il filosofo olandese, la mente umana è “l’idea del corpo”, ovvero la rappresentazione della complessità dell’organismo biologico. Non esiste una separazione netta tra mentale e fisico: sono due aspetti della stessa realtà, due modi di descrivere gli stessi processi naturali. La coscienza non è un’entità separata che osserva il cervello dall’esterno, ma è il modo in cui certi processi cerebrali si manifestano soggettivamente.
Questa visione risuona con interpretazioni contemporanee della coscienza come fenomeno emergente. Il neurobiologico Antonio Damasio, che ha dedicato studi approfonditi al rapporto tra Spinoza e le neuroscienze, sostiene che la coscienza emerge dalla complessità dell’organizzazione neurale, senza richiedere principi non fisici. La sensazione soggettiva di essere un “io” che decide liberamente sarebbe il modo in cui il cervello rappresenta a se stesso i propri processi di elaborazione delle informazioni.
Questa interpretazione aiuta a comprendere perché l’illusione del libero arbitrio sia così persistente e convincente. Non è semplicemente un errore cognitivo che potremmo correggere con più informazioni. È piuttosto il modo inevitabile in cui un sistema complesso come il cervello umano rappresenta a se stesso i propri processi decisionali. Dal punto di vista soggettivo, non possiamo fare a meno di sentirci liberi, anche se oggettivamente i nostri comportamenti seguono leggi causali.
Implicazioni per l’etica e la giustizia
Ma cosa significa tutto questo per l’etica e la responsabilità morale? Spinoza non era un nichilista. Un uomo che comprende le cause del proprio comportamento può modificarle attraverso la ragione e l’educazione. La libertà autentica non consiste nella capacità di violare le leggi di natura, ma nella possibilità di comprenderle e di agire in armonia con esse.
La meditazione, la terapia cognitivo-comportamentale, persino interventi farmacologici possono alterare i circuiti neurali che sottostanno alle nostre decisioni. Non si tratta di recuperare un’impossibile libertà assoluta, ma di espandere la nostra capacità di autoregolazione attraverso la conoscenza dei meccanismi che ci determinano.
Questa prospettiva ha implicazioni profonde per il sistema giuridico e per le pratiche educative. Se il comportamento criminale emerge da disfunzioni neurali specifiche, l’approccio punitivo tradizionale perde molto del suo senso. Diventa più razionale concentrarsi su interventi che possano modificare i pattern problematici, sia attraverso la terapia che attraverso cambiamenti ambientali. L’obiettivo non è più punire la colpa, ma prevenire il danno futuro modificando le cause del comportamento indesiderato.
La visione di Spinoza e le scoperte neuroscientifiche convergono verso una concezione più umana e scientifica della giustizia. Riconoscendo che tutti siamo prodotti delle nostre circostanze neurologiche e ambientali, possiamo sviluppare maggiore compassione per chi agisce in modi distruttivi, senza per questo rinunciare alla necessità di proteggere la società dalle conseguenze di tali azioni.
Conclusioni: dall’intuizione filosofica alla ricerca empirica
Tre secoli dopo la morte di Spinoza, il suo determinismo radicale non appare più come una speculazione metafisica astratta, ma come un framework concettuale che illumina scoperte empiriche concrete. Le neuroscienze non “dimostrano” la filosofia spinoziana – la scienza empirica non può validare sistemi metafisici completi. Ma offrono esempi specifici di come meccanismi inconsci possano generare l’esperienza soggettiva della libertà, confermando l’intuizione centrale del filosofo olandese: che la nostra sensazione di essere liberi emerge dalla nostra ignoranza delle cause che ci determinano.
Il dibattito contemporaneo ha visto emergere anche posizioni intermedie che tentano di superare la rigida dicotomia tra determinismo fisico e dualismo metafisico. Scienziati come Federico Faggin propongono soluzioni che, pur confutando l’idea della coscienza come mero epifenomeno del cervello, evitano di ricorrere a spiegazioni soprannaturali. Faggin ipotizza l’esistenza di una coscienza universale che si manifesta attraverso i fenomeni quantistici, suggerendo che la natura stessa della realtà fisica a livello fondamentale possa incorporare proprietà coscienti. Questa prospettiva cerca di riconciliare la ricerca di una spiegazione naturalistica della coscienza con il riconoscimento della sua irriducibilità ai soli processi cerebrali classici, aprendo nuove strade per comprendere uno dei misteri più profondi dell’esistenza.
Bibliografia
Spinoza, B. (1677). Ethica ordine geometrico demonstrata (Etica dimostrata secondo l’ordine geometrico).
Libet, B. (1985). Unconscious cerebral initiative and the role of conscious will in voluntary action. Behavioral and Brain Sciences, 8(4), 529-539.
Haynes, J. D., et al. (2007). Reading hidden intentions in the human brain. Current Biology, 17(4), 323-328.
Damasio, A. (2003). Looking for Spinoza: Joy, Sorrow, and the Feeling Brain. Harcourt.
Faggin, F. Silicon: From the Invention of the Microprocessor to the New Science of Consciousness



