Sofía Reyes Guevara: accumulare immagini per sopravvivere all’allucinazione digitale

L’oscurità immacolata di una delle strade di Kreuzberg è interrotta dallo stridente scintillio di quella che sembra essere una vetrina. Al suo interno, una gigantesca stampa a tutta parete mostra degli occhi socchiusi e accuratamente truccati: ciglia finte, una sfumatura meticolosa che va da un viola intenso a un rosa pallido e gemme adesive. Occhi ipnotici che fissano lo spettatore in trance, una sensazione di sorveglianza psichedelica accentuata da un televisore installato proprio al centro dello sguardo, che riproduce video bizzarri: una collezione maniacale e cibernetica che spazia da animazioni gamer con voluminose figure asiatiche, margherite da cartoon digitale e strippers che fanno pole dance, un collage schizofrenico di una selezione audace e peculiare. Uno slogan, una frase di un progetto passato che continua a martellarmi in testa dal primo momento in cui l’ho letta: acá en la casa, l’immagine mentale di una figura fantasmagorica e ossessivo-compulsiva che accumula le immagini e i video più insoliti fino a formare un’interfaccia identitaria: Sofía Reyes.

Quella che è stata descritta come una vetrina spettrale è Between Bridges, lo spazio dell’artista Wolfgang Tillmans, che si configura come una piattaforma artistica lontana dal concetto di galleria commerciale e da finalità lucrative. La sede espositiva ha ospitato artisti come Greer Lankton (2015), Juan Pablo Echeverri (2023) e Isa Genzken (2008), quest’ultima nella precedente sede londinese.

Attualmente Between Bridges presenta l’artista colombiana Sofía Reyes Guevara, con una mostra inaugurata durante la Berlin Art Week e aperta al pubblico fino al 16 novembre. Il suo progetto, ALUCINACIÓN, si presenta come una messa in scena di un linguaggio caotico e intimo attraverso installazioni audiovisive articolate nei due spazi della galleria.

Al piano superiore, AUTOTRANSFUSIÓN, articolata in due opere, rivela un aspetto profondamente personale ed enigmatico: a tratti sembra una dichiarazione d’amore, altre volte un grido d’aiuto, una sorta di autoritratto multimediale costruito a partire dal proprio consumo virtuale. Le due opere si combinano in una stampa in grande formato e in uno schermo disposto come un simbolico terzo occhio che riproduce il video omonimo, un montaggio realizzato con 46 frammenti per una durata complessiva di 37:04 minuti.

Non si tratta di una compilazione arbitraria, bensì del modo in cui l’artista si appropria di quelle tracce di collezione e navigazione: un accumulo di immagini e frammenti video nati dall’insonnia cibernetica, che svela il carattere più intrinseco dell’artista. Un repertorio che spazia da Si No Se Pudo, Pues No Se Pudo degli Aterciopelados su una scena di furto urbano, a cortometraggi di MMA accompagnati da You Take My Breath Away dei Queen. Come sottolinea John Cheney-Lippold, l’identità algoritmica designa le categorie calcolate dagli algoritmi a partire dalle abitudini di consumo; in questo caso Reyes Guevara sovverte quel principio e trasforma ciò che potrebbe essere un semplice profilo prevedibile in materia estetica: l’azione di uno scrolling demenziale. Accanto a AUTOTRANSFUSIÓN, l’installazione DAPHF interrompe tale rivelazione con una barriera scultorea composta da 65 bastoni sostenuti da ventose e ornati con elementi come chiodi, filo spinato e brandelli di corde; più che semplici oggetti inerti, assumono una condizione animica, presenze totemiche che delineano un confine tra lo spettatore e l’intimità di Sofía.

Sebbene l’opera di Sofía Reyes Guevara venga spesso associata a un accumulo di carattere consumista, Masses costituisce il suo quinto video e segna la sua prima incursione in una produzione concepita integralmente da zero. Installata nel seminterrato dello spazio espositivo, la registrazione mostra un tipico paesaggio urbano di Bogotá: l’ingorgo. Ripreso da uno dei titanici ponti dell’autostrada, Masses si configura come un’ode allo sguardo del peeping tom verso uno degli abitacoli più caratteristici della capitale — l’automobile —, scenario di interminabili ore in un contesto aspro, freddo e avvolto dalla nebbia.

L’auto, come elemento protagonista, corrisponde a ciò che Marshall McLuhan ha definito estensioni dell’uomo. Per il teorico canadese, l’automobile ha soppiantato la casa come elemento costitutivo dello spazio personale, diventando una prolungazione del privato nel pubblico. Quello che osserviamo sono finestre di micro-realtà stagnanti nella trafficata arteria cittadina. Reyes Guevara le dota di un sottotesto inventato, concede una voce ai pensieri diegetici degli automobilisti intrappolati generando monologhi confessionali e fittizi. Azioni che si ripetono nella sua pratica artistica: registrare, accumulare ed editare.

Avvicinarsi all’opera di Sofía richiede di fermarsi, un immergersi tra canzoni e video che spaziano dal disamore al disagio, dalla disperazione all’euforia; pretende tempo, attenzione e una certa solitudine. Uno sguardo rapido può condurre alla sua incomprensione, forse è proprio questo il suo tallone d’Achille, quel carattere sfuggente che sembra dissolversi tra le dita, perché in fin dei conti un’allucinazione è qualcosa di effimero che lascia a malapena una traccia nella memoria.

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