Restaurare in maniera green, una soluzione proviene dal peperoncino messicano

Alla luce degli SdG’s Agenda 2030, il mondo della salvaguardia dei beni culturali sta concentrando le sue forze sulla possibilità di lavorare in maniera più ecosostenibile possibile, riducendo l’impatto ambientale e l’uso di risorse; ragion per cui si può parlare di transizione green. Tra gli operatori del settore coinvolti, vi sono i restauratori, che stanno sempre più prendendo a cuore la mozione del pianeta, in quanto il bene in restauro si trova in un contesto che deve essere salvaguardato e non dimenticato. 

Ma che cosa significa restaurare in maniera green

Si tratta di un approccio che protegge il patrimonio storico mantenendo l’equilibrio tra preservazione, veridicità dell’opera e sostenibilità ambientale. Uno dei passi per raggiungere questo obiettivo è la green chemistry: un ramo nuovo della chimica, ma concettualizzato per la prima volta nel 1998, nel libro Theory and Practice, di Anastas Warner

MarinoDenisenko – stock.adobe.com

Attualmente i nostri chimici del restauro e alcune aziende specializzate in nuove tecnologie come ENEA, stanno riscoprendo le potenzialità delle piante, da sempre fonte di vita dell’uomo. La scelta è ricaduta verso il riutilizzo delle mucillagini di Opuntia ficus-indica, o mucillagine di fico d’india, e il capsicum o più comunemente detto: peperoncino

L’idea dell’utilizzo del ficus è nata in seguito alla scoperta di un’usanza delle popolazioni indigene messicane nei loro dipinti. Questi ultimi mescolavano alla calce l’estratto del fico d’india (nopal in Messico) per migliorare la plasticità degli impasti e a trattenerne l’umidità, come attestato per le pitture murali di Cacaxtla e in diverse tombe del sito archeologico del monte Alban e Suchilquintongo. 

Mentre l’utilizzo del capsicum, o comunemente peperoncino, originario del Sud America, è stato identificato nei siti archeologici in America Latina, con funzione antimicrobica, grazie alla principale componente piccante della capsaicina, da recenti studi sembrerebbe che pure il muralista messicano Diego Rivera, si servì delle mucillagini di nopal per i suoi dipinti, in particolare quelli che dipinse al Ministero della Pubblica Istruzione, risalenti al 1923. 

Il Murales di Diego Rivera presso il Ministero dell’Istruzione

Questa tradizione dell’uso della mucillagine del ficus (dopo la dovuta estrazione e preparazione) come addittivo alle malte è impiegata tutt’ora dai restauratori messicani per migliorarne la plasticità e la resistenza. 

In Italia invece queste mucillagini rappresentano un prodotto di scarto di potatura con costi elevati di smaltimento per gli agricoltori. Quindi perchè non sfruttare questa antica tradizione ispanica che mette in evidenza le peculiarità degli estratti di piante?

In laboratorio sono state sperimentate le differenze di durabilità e prestazioni delle malte con mucillagini di ficus-indica, confrontandole con malte additivate a prodotti sintetici, verificandone il potere consolidante su diversi tipi di materiali come pietra, carta, tela e stucchi. Partendo dal presupposto che le mucillagini sono prodotti organici, e che quindi potrebbero influenzare e fomentare la crescita di biorganismi sul manufatto, sono stati successivamente condotti dei test di bioricettività su provini di nopal, contaminandoli artificialmente con dei batteri. A conclusione si è notato come nessun materiale testato sia risultato in realtà più suscettibile all’attacco microbico e fungino, ponendo le basi per avviare il secondo test: ossia l’aggiunta dell’estratto di peperoncino, che avrebbe aumentato la capacità di autocontrollo sui biodeteriogeni. 

Il nopalGel, courtesy of Opuntia

I nuovi formulati, sono stati chiamati nopalGel e nopalCap ed estratti in diverse modalità, ridotti in polvere e reidratati, per essere applicati in già alcuni monumenti storici e poterne quindi validare il protocollo. 

Questo è solo un inizio e l’auspicio è che la formamentis green cominci a rientrare nelle menti dei restauratori, ma soprattutto nelle grandi aziende, anche se solo in piccole aree del territorio. Fortunatamente, diverse realtà al giorno d’oggi sono promotori di queste tematiche, come SIC, acronimo di Sustainability in Conservation, un’associazione internazionale volta a promuovere la sostenibilità e la consapevolezza ecologica nella conservazione del patrimonio culturale. Fondata nel 2016 per volontà di Caitlin Southwick, restauratrice americana, SIC si propone di promuovere gli scambi, le conoscenze e soprattutto le innovazioni nel settore chimico e diagnostico per i beni culturali, tra operatori di differenti settori, attraverso conferenze e dibattiti  a livello internazionale e supportata spesso da IGIIC. 

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