Il 2025 è stato proclamato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite come Anno Internazionale della Conservazione dei Ghiacciai. Ogni gesto culturale che si interroghi sul destino di queste incredibili architetture naturali assume un valore emblematico e imprescindibile. È in questa cornice di riflessione globale che si inserisce l’opera dell’artista The Astronut, presentata per la prima volta in occasione di MIA Photo Fair BNP Paribas 2025, nella sezione Focus Svizzera patrocinata dal Consolato Svizzero di Milano.
L’installazione interattiva, frutto di un dialogo sinergico tra arte contemporanea e innovazione tecnologica, affonda le sue radici in una memoria collettiva ancestrale: la preghiera degli abitanti di Fiesch per il contenimento dell’avanzata del Ghiacciaio dell’Aletsch, il più esteso delle Alpi, risalente al 1862. Un rito liturgico che, nella sua inversione semantica contemporanea, si trasforma in un grido di allarme e di speranza: non più scongiurare l’espansione dei ghiacci, ma implorare la loro sopravvivenza.
Un significato che risuona in perfetta sintonia con le istanze espresse dal Manifesto europeo per i ghiacciai, recentemente presentato presso l’Università Statale di Milano, e che sottolinea la necessità urgente di azioni concrete per la tutela di questi ecosistemi fragili e vitali. In questo scenario, l’opera di The Astronut, curata da Clelia Patella, si configura non solo come un’esperienza estetica, ma come un dispositivo poetico e politico, capace di coinvolgere attivamente lo spettatore in una riflessione sulla responsabilità collettiva nei confronti del futuro del pianeta.
L’installazione si configura come un’opera sincretica e multisensoriale, che combina rigorosi dati scientifici, sound design immersivo e tecnologie di intelligenza artificiale per trasformare radicalmente il ruolo dello spettatore: da fruitore passivo a partecipante attivo. Attraverso la recitazione del mantra “Il ghiacciaio è ghiaccio, il ghiaccio è acqua, l’acqua è vita”, i visitatori attivano una risposta visiva che simboleggia la “guarigione” temporanea del ghiacciaio, suggerendo una corrispondenza diretta tra parola, gesto e trasformazione dell’ecosistema. In tale contesto, l’opera si rivela non soltanto come un dispositivo artistico, ma come un vero e proprio rito laico di consapevolezza, in sintonia con lo spirito che anima il 2025.
In questa intervista la curatrice Clelia Patella e l’artista The Astronut approfondiscono la genesi e l’etica dell’opera, riflettendo sull’interazione del pubblico e sul potenziale dell’arte come strumento di attivismo climatico e catalizzatore di un cambiamento reale e urgente.

Clelia Patella – Curatrice
Qual è il messaggio principale che vuole trasmettere questa installazione e perché avete scelto di affrontare il tema del cambiamento climatico in questo modo?
Il messaggio fondamentale dell’opera è l’urgenza ineludibile di affrontare con lucidità e coraggio la crisi climatica, ma anche la necessità di recuperare una consapevolezza profonda: ogni gesto individuale incide, nel bene o nel male, sul destino del nostro pianeta. Abbiamo scelto la forma dell’installazione interattiva perché riteniamo che soltanto un’esperienza sensoriale intensa, capace di toccare il corpo e la mente insieme, possa scuotere realmente le coscienze. L’utilizzo di dati scientifici, integrati con le potenzialità della tecnologia, è funzionale a questo intento: rendere tangibile l’impatto delle nostre azioni, trasportando il pubblico in uno spazio di responsabilità condivisa.
Come si è inserita questa installazione nel contesto della MIA Photo Fair 2025 e della sezione “Focus Svizzera”?
MIA Photo Fair rappresenta da anni una delle principali piattaforme italiane per il dialogo tra fotografia e linguaggi artistici contemporanei. La sezione Focus Svizzera, patrocinata dal Consolato Svizzero di Milano, ha offerto quest’anno un contesto particolarmente significativo, permettendo all’artista di approfondire una narrazione già presente nella sua ricerca: quella della preghiera collettiva degli abitanti di Fiesch, un rito nato nel 1862 per contenere l’espansione del ghiacciaio dell’Aletsch, che oggi si trasforma in un’invocazione alla sua sopravvivenza. Tale inversione semantica, carica di suggestioni spirituali e civili, si inserisce perfettamente in un momento storico in cui la riflessione sui ghiacciai – fragili indicatori del collasso climatico – è divenuta prioritaria, come sottolineato anche dal Manifesto europeo per i ghiacciai.
L’opera invita il pubblico a partecipare attivamente, recitando il mantra “Il ghiacciaio è ghiaccio, il ghiaccio è acqua, l’acqua è vita”. Quale ruolo gioca questa partecipazione nell’esperienza complessiva?
La partecipazione del pubblico non è un semplice espediente performativo, ma rappresenta il fulcro dell’intera esperienza. Pronunciando il mantra, i visitatori innescano una trasformazione visiva che simula la rigenerazione del ghiacciaio, offrendo così una rappresentazione simbolica e poetica dell’efficacia dell’azione collettiva. Questo atto, tanto semplice quanto carico di significato, intende rendere manifesta l’idea che ogni parola, ogni intenzione, ogni gesto, può contribuire al rallentamento del declino ambientale. Lo spettatore diventa così protagonista di un rito laico e condiviso, riscoprendo il proprio potere trasformativo all’interno del tessuto ecologico.
Come vede il ruolo delle nuove tecnologie, come l’intelligenza artificiale, nel mondo dell’arte contemporanea?
Le tecnologie emergenti, e in particolare l’intelligenza artificiale, stanno profondamente modificando la natura stessa dell’arte contemporanea. Esse non rappresentano soltanto strumenti espressivi, ma si configurano come agenti attivi all’interno del processo creativo. In questa installazione, l’IA e il sound design non sono meri supporti, bensì componenti essenziali del linguaggio dell’opera. Tradurre dati scientifici in un’esperienza immersiva consente di avvicinare il pubblico a tematiche complesse, come quella climatica, rendendole immediate, emozionalmente coinvolgenti e soprattutto memorabili. L’arte, grazie alla tecnologia, diventa un luogo di incontro tra scienza e percezione, un laboratorio sensibile per esplorare la nostra relazione con l’ambiente.
The Astronut – Artista
Come è nata l’idea per questa installazione e in che modo il concetto di “olobionte” si integra nel progetto?
L’idea dell’opera nasce da un’urgenza interiore e civile: quella di dare forma sensibile a una crisi che non possiamo più permetterci di ignorare. Il concetto di olobionte, che considera ogni organismo come un sistema interdipendente composto da molteplici specie in simbiosi, è centrale in questo lavoro. Il Ghiacciaio dell’Aletsch viene rappresentato non come un’entità statica, ma come un organismo vivente, complesso, interconnesso con il paesaggio, la cultura e la storia umana. Attraverso l’intelligenza artificiale, questa visione prende corpo, trasformando i dati glaciologici in un linguaggio visivo e sensoriale che mira a restituire al pubblico la consapevolezza della fragilità e della bellezza del nostro ecosistema.
Qual è la sua visione dell’arte come strumento per sensibilizzare il pubblico riguardo a temi globali come il cambiamento climatico?
L’arte possiede una forza comunicativa unica: quella di attivare un livello emozionale e intimo che sfugge alla logica fredda delle cifre e dei report. Essa può generare empatia, urgenza, senso di appartenenza. In questo progetto, l’intento era proprio quello di far emergere l’aspetto umano della crisi climatica, restituendole un volto, una voce, un ritmo. Se le persone riescono a sentire la montagna che geme, il ghiacciaio che si ritira, l’acqua che scompare, allora forse saranno più inclini ad agire. L’arte, in tal senso, diventa non solo rappresentazione, ma gesto politico, forma di resistenza e di speranza.

Il recentissimo Manifesto europeo per i ghiacciai evidenzia l’urgenza di ridurre le emissioni e proteggere i ghiacciai attraverso azioni concrete. Crede che l’arte possa avere un ruolo attivo nel promuovere questi cambiamenti?
Assolutamente sì. Il linguaggio artistico, quando è autentico e radicato nel presente, può essere un amplificatore di coscienza collettiva. Il Manifesto europeo per i ghiacciai è un documento fondamentale, ma affinché non rimanga lettera morta è necessario che le sue istanze si traducano in emozioni, immagini, gesti condivisi. L’arte è uno degli strumenti più potenti per colmare il divario tra informazione e azione. Attraverso il coinvolgimento diretto, possiamo costruire un ponte tra il sapere scientifico e l’intuizione emotiva, creando le condizioni per un cambiamento reale, che parta dalla sensibilizzazione e si traduca in responsabilità concreta.
Durante MIA Photo Fair, il pubblico ha risposto in modo molto positivo alla sua installazione, partecipando attivamente e comprendendone il significato. Che tipo di interazioni ed emozioni ha riscontrato tra i visitatori?
Le reazioni del pubblico sono state intense e sorprendenti. Molti visitatori si sono emozionati profondamente nel percepire la reazione dell’opera alla propria voce, nel sentire che il loro gesto aveva un impatto visibile, anche se simbolico. Alcuni hanno riflettuto sul significato profondo del mantra, altri hanno condiviso esperienze personali legate alla natura, all’acqua, alla montagna. È emersa una forte tensione comunitaria, una sorta di rito collettivo che ha unito persone diverse in un gesto comune. Questo è, credo, il segno più chiaro che l’arte può ancora generare trasformazioni autentiche, toccare le coscienze e seminare il desiderio di un futuro diverso.