Chi lo dice che i libri non si possano giudicare dalla copertina? Noi ci abbiamo provato già l’anno passato, con una serie di articoli che hanno suscitato molto interesse (dal punto di vista delle visualizzazioni), ma anche qualche malcelato fastidio: perché, se un tempo la copertina di un libro non era altro che la sua veste grafica, dalla quale era impossibile giudicare davvero il contenuto di un libro (al punto che il “non giudicare un libro dalla copertina” era un tempo la metafora di “non giudicare dalle apparenze”), oggi, nella società dell’apparenza, è sempre più evidente che “la copertina” decreta, se non proprio tutto, una parte rilevante del successo di un libro: esattamente come una buona campagna marketing, o una confezione appetibile, fa un buon prodotto, così come una buona pubblicità, magari con tanto di reel e di influencer, decreta il successo di una mostra, bella o brutta che sia.
Per continuare dunque a sfatare il mito, oggi sulla via del tramonto, secondo il quale i libri non si possano “giudicare dalla copertina”, abbiamo deciso di raccontarvi (e di criticarvi) i 12 libri arrivati in finale al Premio Strega 2025 proprio a partire dalla loro copertina. Spingendoci a volte – in via eccezionale –, a dare una sbirciatina anche alla quarta di copertina.
Qualche riflessione: l’editoria italiana tra memoria, malinconia e… noia
Prima di cominciare, abbiamo buttato giù qualche doverosa riflessione, che vi proponiamo subito.
1. Totale assenza della AI. Piaccia o no, l’editoria libraria sembra che non abbia ancora scoperto lo straordinario ppotere dell’Intelligenza Artificiale. Un bene? Forse sì, se si pensa al grande bacino di immagini provenienti dalla creatività umana su cui si possiamo contare, senza scomodare dati ed algoritmi. Ma forse, invece, è solo un segno tangibile dello stato di arretratezza in cui si muove l’editoria italiana mainstream.
2. La maggioranza dei libri, giocati sul “romanzo biografico” o sulla biografia tout court, propendono per un approccio “vintage”, malinconico, pochissimo contemporaneo per quanto riguarda l’immagine esterna del libro. L’onda pop, dilagante nell’arte, sembra completamente sconosciuta all’editoria libraria, che preferisce invece un approccio visivo mesto, in bianco e nero quando non virato seppia, senza scossoni né sorprese. Il risultato dell’indagine sui 12 libri finalisti, visti uno dopo l’altro, è francamente di una noiosa uniformità d’immagine.
3. Molto frequente l’utilizzo di fotografie, ben più raro quello di quadri o sculture di artisti contemporanei (gli editori, al massimo, preferiscono affidarsi a dei “semplici” illustratori per adornare la copertina del libro). Ancora un’occasione mancata per l’editoria, che evidentemente fa fatica ad approcciarsi all’arte e agli artisti come “normali” compagni di strada nel cammino degli scrittori contemporanei.
I 12 finalisti
Ecco dunque, in rigoroso ordine alfabetico, la critica, in poche righe, di ogni libro visto dalla sua copertina.
Valerio Aiolli, Portofino blues (Voland)

Una foto vintage, proveniente da una cartolina di inizio 900, raffigura Villa Altachiara a Portofino, un tempo detta Villa Carnarvon, dal nome di un suo precedente proprietario, il celebre egittologo Lord George Herbert, conte di Carnarvon, che vi soggiornò negli anni Venti e che, secondo la leggenda, avrebbe portato con sé l’ombra della maledizione di Tutankhamon (una sua giovane nipote morì ruzzolando dalle scale esterne della villa). Più avanti, la villa sarebbe tornata al centro delle cronache per un altro dramma: è il gennaio del 2001 quando Francesca Vacca Agusta – vedova dell’industriale Corrado Agusta, erede dell’impero degli elicotteri – vi scomparve misteriosamente. Il suo corpo fu ritrovato in mare tre settimane dopo, al largo di Tolone, mezzo sbranato dai pesci. Dopo la sua morte si scatenò una lunga e feroce battaglia ereditaria, e il ritrovamento del corpo non sbiadì i misteri che aleggiavano intorno alla sua morte. Il romanzo-inchiesta di Valerio Aiolli, ci informa la quarta di copertina, indaga proprio intorno a questi misteri. Evanescente e un po’ fané, la copertina si fa sogguardare senza attirare l’attenzione. La villa, vera protagonista del romanzo, risulta per la verità un po’ sbiadita, evanescente, priva di attrattive e di mistero. Non invoglia la lettura – al pari del titolo, troppo genericamente melanconico-nostalgico per far pensare ai misteri che vi si raccontano. Voto: 5 e ½
Saba Anglana, La signora meraviglia (Sellerio)

Sull’ormai storico impianto della grafica delle copertine Sellerio, in questo romanzo di Saba Anglana campeggia un dipinto. È, ci informa la didascalia, un’opera della stessa autrice, dal titolo Patrona II. Artista poliedrica (cantante, attrice, scrittrice, e a quanto pare anche pittrice) di origine somala, Saba Anglana ci racconta una storia lirica e ironica “tra memoir e saga familiare”, che qualcuno ha già paragonato a Cent’anni di solitudine. La copertina, dietro all’eleganza selleriana, ha un buon impatto visivo, e pare coerente col testo: nella sua semplicità mescola tradizione e modernità, ponendo il libro “fuori dal tempo”. Retaggi mistico-rituali, echi della cultura della Grande Madre, una forte simbologia sottesa: la figura centrale, Patrona, tiene in grembo, a mo’ di protezione, quello che appare come il tipico scudo dei guerrieri somali, formati da cerchi concentrici e brevi linee parallele, e da lei si dipartono foglie e radici di alberi, metafora di centralità, di origine e di nascita. Chi cerca una storia dai risvolti magici e dalle mille diramazioni storico-mitologiche può trovare pane per i propri denti, e sarà irresistibilmente attratto dal dipinto che campeggia sulla copertina. Voto: 8
Andrea Bajani, L’anniversario (Feltrinelli)

La foto di copertina mostra lo scorcio ad angolo di una scala ripida e stretta, con tanto di moquette rossa, che ricorda quelle delle tipiche abitazioni inglesi middle class, dietro il quale potrebbe nascondersi un pericolo, una sorpresa, un delitto. Il tema del romanzo sembrerebbe quello della discesa verso l’ignoto: il classico “colpo di scena” nascosto in mezzo ad atmosfere degne di un thriller psicologico. È coerente col romanzo di Andrea Bajani? Lo scopriamo leggendo la bandella che accompagna il romanzo in libreria, firmata nientemeno che da Emmanuel Carrère, che recita testualmente: “Ci si può liberare dai propri genitori? Del male che ci hanno fatto? Senza ritorno e senza appello? È una domanda scandalosa. Andrea Bajani la affronta da scrittore, in un libro scandalosamente calmo”. Non abbiamo letto il libro, ma bandella e foto di copertina ce ne ha già fornito un indizio. La quarta di copertina va oltre: “Si possono abbandonare il proprio padre e la propria madre? Si può sbattere la porta, scendere le scale e decidere che non li si vedrà più?”. Ecco, dunque, da dove deriva la scelta di quella scala, di quella “discesa agli inferi” del protagonista, e con lui del lettore, dentro le mura di casa, in quello che sempre la quarta di copertina definisce un “microcosmo concentrazionario”. Il messaggio dell’editore è: vi trovate tra le mani un libro atipico, di descrizione di una paranoia borghese e famigliare, probabilmente claustrofobica e angosciante, sicuramente coinvolgente. Per stomaci duri, quelli, appunto, amanti dei romanzi-verità di Emmanuel Carrère. Copertina coerente, ben calibrata. Voto: 7 e ½
Elvio Carrieri, Poveri a noi (Ventanas)

Un autore che sceglie nientemeno che un disegno di Franz Kafka per la copertina del suoomanzo è senz’altro un tipo originale. Se poi scopriamo non solo che il disegno che ha scelto è il meno accattivante che ci possa essere, anche tra quelli dell’autore de La Metamorfosi, e che l’autore non ha che vent’anni ed è al suo primo romanzo, scritto peraltro in una settimana, e che per di più si definisce “poeta e musicista”, la cosa si fa sempre più allettante – o inquietante, decidete voi. La copertina, in sé, non è bella: anzi, per dir la verità fa paura. Se lo vediamo in libreria, siamo incerti tra la fuga immediata e la curiosità morbosa. Di cosa parla, Poveri a noi (anche il titolo fa un po’ paura, a essere sinceri)? Non lo sappiamo, e per il momento ci tratteniamo dal leggere la quarta di copertina, che temiamo ci sveli troppo della trama (ci è bastato raccogliere informazioni sull’autore in rete). Sia come sia, sorprendente o solo terribilmente brutta, nel bene e nel male la copertina si fa notare. Peccato la grafica troppo invasiva, e quel fastidioso color verde. Voto: 5
Deborah Gambetta, Incompletezza. Una storia di Kurt Gödel (Ponte alle Grazie)

Si intitola Incompletezza, e il volto del protagonista (che già il sottotitolo ci dice essere tale Kurt Gödel) è disegnato a metà. Il resto (la parte bassa del volto), è nell’incompletezza. Di primo acchito, potremmo dire: beh, ci sta. Ma qualcosa non torna. Chi diavolo è, Kurt Gödel? Dobbiamo cercare in rete per scoprire (a parte noi, a quanto pare lo sanno tutti) che è “uno dei grandi della Logica matematica del ‘900”, e che è famoso soprattutto proprio per i suoi teoremi di incompletezza. Ci interessa, non ci interessa? A noi, che di matematica ne sappiamo una cippa, verrebbe da dire che interessa assai poco. L’illustrazione di copertina, del bravo Andrea Bozzo (ha realizzato illustrazioni per il New York Times, Vanity Fair, Il Corriere, La Repubblica, L’Espresso, Feltrinelli, Einaudi, e chi più ne ha più ne metta), non fa che confermare questa sensazione di incertezza, anzi, di imcompletezza. Ci immaginiamo il lettore con in mano il libro: lo compro?, non lo compro? Forse, in fondo, nessuna copertina avrebbe potuto essere più invogliante di questa, se mai lo è. Coerente, e coerentemente incompleta. Come l’impressione che ci fa questo libro, che, se decideremo di comprarlo, chi lo sa, forse ameremo pazzamente. Ma che forse non compreremo affatto: ci accontenteremo di essere, ancora per un po’, gli unici a non sapere chi diavolo fosse Kurt Gödel, e che segreti stupefacenti ci riservasse la sua biografia. Alla copertina va comunque un plauso per il tentativo. Voto: 6 e ½
Wanda Marasco, Di spalle a questo mondo (Neri Pozza)

Una copertina misteriosa, dallo stile apparentemente mattottiano (nel senso di Lorenzo Mattotti, tra i più grandi illustratori italiani e internazionali), che però, scopriamo dalla didascalia, è invece di mano del britannico Owen Gent, originario di Bristol – anch’egli, come Mattotti, amante di una stesura del colore dal taglio fortemente pittorico e dalle atmosfere intense e misteriose. Il titolo del dipinto (o dell’illustrazione) che compare in copertina del romanzo è Your Blissful Shadow No. 4, La tua ombra beata, il che fa immaginare che non si tratti di due persone, ma di una sola persona che indaga un’altra se stessa, forse dietro uno specchio. Il quadro, del resto, indagando in rete, scopriamo che fa parte di una serie in corso “che esplora i temi dell’ombra, della luce e della figura umana”, oltre che affrontare emozioni come “l’ansia, il trauma e la depressione”, esplorando “il mondo interiore dei personaggi attraverso la rappresentazione simbolica”. La quarta di copertina, sbirciata solo per metà, ci conferma l’idea che il romanzo della Marasco parli di ossessioni, di ansia, di alienazione e di ricerca di sé. Ci basta questo, e a dirla tutta ci attira più l’immagine copertina della quarta di copertina, quindi chiudiamo subito il libro e ci fidiamo della prima, ottima impressione. Voto: 8
Renato Martinoni, Ricordi di suoni e di luci. Storia di un poeta e della sua follia (Manni)

La copertina di questo romanzo prende a prestito un dipinto di John William Waterhouse, esponente tardivo dei Preraffaelliti (peraltro di origine italiana), rielaborandolo graficamente, sostituendo il tipico sfondo silvestre del quadro con un fondo neutro. Il quadro, del 1903, si intitola Boreas, dal nome del dio greco del vento del nord, e raffigura una giovane fanciulla sbattuta dal vento. In realtà quella raccontata dal romanzo è la storia, ci spiega sinteticamente la bandella, di Dino Campana, uno dei più grandi poeti del Novecento italiano, ma celebre anche “per i suoi vagabondaggi, spesso conclusi con il carcere o il ricovero in una clinica psichiatrica, per una infuocata avventura d’amore con la scrittrice Sibilla Aleramo e soprattutto per la sua passione incondizionata per la poesia” (sai che strano, era un poeta, per cosa doveva aver passione, per il poker?). Chi diavolo sarà, dunque, la fanciulla sbattuta dal vento che compare sulla copertina? Che voglia rappresentare la controfigura simbolica di Sibilla Aleramo? O addirittura della stessa Poesia? Forse la soluzione è da ricercare nella quarta di copertina, che, anziché la sinossi del romanzo, ce ne propina un estratto tristemente eloquente. Il tono, a metà tra saga romantica e fiction Rai, parla di una donna misteriosa, con tanto di velo sul volto, che va a trovare Campana sulla sua tomba, fissando “con un sorriso amaro e misterioso la rozza lapide grigia, piccola e modesta, solcata da due crepe profonde”, poi “rimane ferma, a lungo, la fata nera, in silenzio, fissando la pietra che sotto la forza dei suoi occhi si tinge di rosa. Come le vette delle montagne, al tramonto, in un quadro di Segantini. Poi esce e si incammina sulla carraia frustata da un vento gelido e rabbioso. Senza scoprire il viso”. Segantini o Waterhouse, il risultato, per il critico divoratore di copertine, non cambia: un pastrocchio nazional-popolare rifatto in stile Paradiso delle signore. Se il libro, poi, sarà migliore di quello che ci propinano copertina e quarta di copertina, tanto peggio per lui. Dal punto di vista visivo, nessun dubbio: troppa retorica in così poco spazio. Voto: 4
Paolo Nori, Chiudo la porta e urlo (Mondadori)

Nella dozzina dei finalisti in cui abbondano biografie vere o mascherate, ecco, per mano di Paolo Nori, un ennesimo ritratto biografico: quello di Raffaello Baldini, grande poeta romagnolo scomparso esattamente vent’anni fa. Mondadori, per l’occasione, si è travestita da Einaudi (dopotutto è roba sua), regalandoci (per l’ottima grafica di Andrea Geremia) una bella, candida copertina da cui fa capolino un ritaglio di giornale che, ci informa la didascalia, rappresenta in realtà un biglietto di Raffaello Baldini scritto a mano su un ritaglio di giornale. Piccolo feticcio letterario, che ben rappresenta, forse, la mania nozionistica e idolatrica di tanta letteratura italiana (per lo meno, quella che arriva in finale allo Strega): che, anziché nutrirsi di storie d’immaginazione, di avventure, di gialli, di thriller, ama ripercorrere minuziosamente le vicende dei suoi protagonisti, e li propina, chissà perché, a un pubblico generalista che le ultime poesie che hanno letto sono, ad andar bene, quelle di Prévert regalate alla fidanzatina il primo anno di università. Ma tant’è. Copertina splendida, sintetica, pulita e spazialista come un quadro di Fontana, merita quasi il massimo dei voti, per la capacità di strizzare l’occhio ai vezzi editoriali del contemporaneo, e al contempo di mettere anche in confusione il lettore, che forse comprerà il libro pensando parli di tutt’altro – magari, chi lo sa, di un fatto di cronaca da cui partirà poi un vero romanzo, e non il solito memoir o la solita biografia mascherata da romanzo… Voto: 9
Elisabetta Rasy, Perduto è questo mare (Rizzoli)

Cosa ci racconta, la copertina di questo romanzo? Una storia, a prima vista. Una storia di mare, di chiacchiere, di amicizie, di vacanze, di incontri, di amori… Forse tutto questo, ci diciamo fiduciosi, noi che amiamo le belle immagini quanto le belle storie, quelle “di una volta”, avventurose e immaginifiche. E invece no. Ancora una volta, abbiamo ceduto (purtroppo) alla tentazione di leggere un po’ della quarta di copertina, e abbiamo dovuto scoprire che, tanto per cambiare, anche questo romanzo, come altri di questa edizione dello Strega, ci parla di storie vere, di memorie vere, di scrittori, veri, come Raffaele La Capria, di padri, sempre veri, e di figlie, anche loro vere, di sentimenti e di memorie, tutto tutto maledettamente vero. Peccato, perché la copertina prometteva bene, anzi benissimo: copertina “aperta”, ma fortemente narrativa. La foto, mica per caso, è di Slim Aarons, il fotografo “dell’alta società” dei ruggenti anni Sessanta, quello che amava ritrarre “persone attraenti che fanno cose attraenti in luoghi attraenti”. Tra dive, milionari, attori, cantanti, aristocratici, snob e nullafacenti, tutta gente di cui il fotografo era amico e che aveva immortalato in riviste come Harper’s Bazaar, Life, Town & Country e Holiday. Aarons diceva di considerarsi, prima di tutto, un narratore. Anche le sue, infatti, erano storie (vere), che titillavano però la nostra fantasia facendoci immaginare migliaia di altre storie (immaginarie). Proprio quello che, dopotutto, vorremmo dai romanzi. Speriamo che non ci deludano. Voto: 7 e ½
Michele Ruol, Inventario di quel che resta dopo che la foresta brucia (TerraRossa)

Semplice, diretta, indubbiamente riuscita la copertina del romanzo di Michele Ruol. L’autore del disegno di copertina è un bravo pittore, illustratore, nonché “artista digitale”, Francesco Dezio, in realtà anche scrittore in proprio con qualche buona pubblicazione al suo attivo. Cosa sarà dunque questo Inventario di quel che resta dopo che la foresta brucia? Un romanzo di formazione, un romanzo picaresco contemporaneo, un inno alla gioia, un sabbah di ragazzini di qualche periferia italiana? Pensiamo a tutto questo, guardando la copertina, ma uno sguardo (incauto) alla quarta di copertina ci gela il sangue: si parla di ragazzini, sì, ma anche di un “incidente”, di una casa in cui “abitavano”. La morte fa capolino tra le pagine, e allora ecco che la copertina stessa sembra prendere un’altra fisionomia: il clima fa pensare a uno Stephen King in salsa italiana, con un tocco di trascendenza (le ombre dei ragazzini e le luci che sembrano emanare rimandano a qualcosa di vagamente soprannaturale). Incuriosisce, con un po’ di suspence. Voto: 7
Nadia Terranova, Quello che so di te (Guanda)

Copertina intimista, psicologica, iperfemminile ma forse anche un po’ femminista. Se il tono del romanzo di Nadia Terranova voleva essere questo, allora è la copertina giusta. L’autrice, Isa Marcelli, è una fotografa francese, che da diversi anni si dedica alla fotografia analogica, approfondendo tecniche storiche come il collodio umido, il platino-palladio, il cianotipo e la stampa gomma bicromatata. Il suo lavoro, dai toni fortemente poetici e dalle immagini evanescenti, esplora l’intreccio tra la natura e la condizione umana, riflettendo la fragilità dell’esistenza. Una copertina in linea con quello che appare il tono del romanzo, che (tanto per cambiare) sembra parlarci di memorie famigliari, di donne, di relazioni, di famiglie e società, e di follia. Di una nonna dell’autrice entrata in manicomio, e della sua vita travagliata. Malgrado l’indubbio impegno della fotografa, la copertina stenta a decollare: non colpisce al cuore, non entra nel nostro immaginario, sembra già un po’ datata alla sua prima apparizione. Già buona per la bancarella (invece che per il Premio Bancarella). Voto: 5
Giorgio van Straten, La ribelle. Vita straordinaria di Nada Parri (Laterza)

Ennesimo romanzo biografico, La ribelle. Vita straordinaria di Nada Parri ci si presenta con una copertina dominata da una fotografia a tutta pagina, in cui una ragazza guarda fiduciosa il cielo, forse anche il sole, nascosto dietro le nuvole, e, metaforicamente, l’avvenire. La foto, che sembra fare il verso al famoso miliziano spagnolo ritratto da Frank Capra nel momento di cadere in battaglia, è nientemeno che di Fosco Maraini, grande orientalista, oltre che alpinista e scrittore immaginifico e sperimentale quant’altri mai. Titolo della foto, di proprietà del Gabinetto Vieusseux e degli Archivi Alinari di Firenze, Passeggiata a Monte Morello, Firenze 1930. Indubbiamente coerente col tema dell’ennesimo romanzo dedicato al tema della memoria e, in questo caso, anche a quello della lotta per la libertà, proprio all’alba dell’80esimo anniversario della Liberazione (Nada Parri fu prima partigiana e poi sindacalista), la foto, come altre usate nelle copertine dei 12 finalisti, funziona, ma senza scossoni né entusiasmi. Voto: 7 –