Non insegnava fotografia, insegnava a guardare: il metodo Ghirri in mostra a Reggio Emilia

Luigi Ghirri insegna ancora. E lo fa nel modo più necessario: attraverso le immagini. Dal 24 aprile 2025 al 1 marzo 2026, il Palazzo dei Musei di Reggio Emilia presenta “Luigi Ghirri. Lezioni di fotografia // Progetto, esercizi e variazioni”, una mostra curata da Ilaria Campioli che parte da un dato biografico e lo trasforma in un territorio di esplorazione collettiva: il corso che Ghirri tiene tra il 1989 e il 1990 all’Università del Progetto. Un insegnamento fuori norma, non accademico, fatto di deviazioni, esercizi, intuizioni. Una mappa aperta, per dirla con le sue parole.

Luca Capuano Senza Titolo 2

Ghirri non si limita a parlare di fotografia: la pensa, la mette in discussione, la vive come un mezzo per decifrare il mondo. Le 54 opere in mostra, molte delle quali legate direttamente agli anni della sua docenza, sono tracce di questo processo. Scatti che non illustrano una teoria ma che ne rappresentano la costruzione. Ecco allora che ogni fotografia diventa un punto interrogativo visivo, un esercizio di consapevolezza più che di stile, un atto critico prima ancora che poetico.

La mostra si muove lungo tre direttrici, tre spazi che dialogano tra loro ma che possono essere attraversati anche autonomamente, proprio come quelle lezioni non lineari a cui si ispira. La prima sezione è tutta per Ghirri e per le immagini prodotte in quegli anni. C’è il paesaggio come metafora, l’architettura quotidiana, le periferie, le superfici, i confini. Ma c’è soprattutto una riflessione sottile, stratificata, sulla fotografia come linguaggio di progetto, come forma visiva che genera conoscenza.

Stefano Graziani Tuffatrice Trieste 2025

Nella seconda parte entra in gioco il confronto. Luca Capuano e Stefano Graziani, due autori italiani che con Ghirri condividono una precisa idea di fotografia come esercizio mentale, si misurano con l’eredità delle sue lezioni. Presentano 30 scatti realizzati attraverso la pratica degli assignments, ovvero compiti visivi, ispirati non solo a Ghirri ma anche alla tradizione concettuale di autori come Baldessari, LeWitt, Yoko Ono, Georges Perec. E qui la fotografia torna a essere studio, processo, forma in movimento. Capuano e Graziani non documentano, non omaggiano: attivano. Passano dall’archivio alla casa, dai luoghi fisici della memoria ghirriana ai territori della loro ricerca, mettendo la fotografia al servizio della domanda più urgente: cosa significa oggi imparare a vedere?

Accanto ai loro lavori, trovano spazio anche gli esiti del laboratorio condotto con studenti e studentesse di ISIA Urbino, a dimostrazione che insegnare fotografia non è trasmettere uno stile, ma costruire uno sguardo collettivo. I temi sollevati dalla mostra diventano pretesto per esercizi visivi, riletture e tentativi. Ed è proprio in questi tentativi che si avverte l’eredità più autentica di Ghirri: quella che non si trasforma in formula, ma in possibilità.

Luigi Ghirri Sassuolo 1985 ©Eredi Luigi Ghirri

La terza sezione, infine, affonda nella storia. Viene presentato un nucleo di 73 fotografie storiche, per lo più inedite, provenienti dalle collezioni del Liceo Artistico “Gaetano Chierici” di Reggio Emilia. Qui la fotografia si mostra nella sua funzione originaria di strumento didattico, supporto alla conoscenza visiva, esercizio di trascrizione. Ci sono immagini segnate, quadrettate, annotate, che portano con sé le tracce del lavoro, dell’uso, della fatica dello studio. È un’occasione rara per comprendere la doppia vita della fotografia, come la definisce Monica Maffioli: da un lato immagine artistica, dall’altro strumento di lavoro. E in mezzo, tutto il suo potenziale perturbante, ambivalente, materico.

“Lezioni di fotografia” dunque recupera una pratica didattica concreta e ne fa un invito a pensare. Non si esce con una teoria in più, ma con più dubbi. E va bene così. Perché l’eredità di Luigi Ghirri non sta in uno stile da emulare, ma in un metodo: guardare con attenzione, interrogare le immagini, costruire mappe invece di percorsi. Capuano e Graziani lo dimostrano senza nostalgia, e il pubblico lo scopre, finalmente, non come spettatore ma come parte in causa.

In un’epoca in cui la fotografia è ovunque e la riflessione sul suo senso appare spesso rarefatta, questa mostra è una presa di posizione netta: insegnare fotografia significa insegnare a vivere nel mondo delle immagini con coscienza, responsabilità e libertà. Ed è ancora, oggi, la lezione più urgente.

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