Una distesa di terra ricopre il pavimento della grande sala al piano nobile di Palazzo Reale. Qualche stelo verde appare qua e là, minimo, essenziale, indisciplinato. Al centro di quello spazio una grande scultura di metallo. Una formazione quasi aliena, che occupa quella che un tempo era una sala maestosa progettata da Giuseppe Piermarini (1734–1808), che interrompe il percorso dello spettatore con suoni roboanti. Un fragore inaspettato, e la singolare percezione che qualcosa di minuscolo cada sul pavimento. Semi, presenze minime, embrioni di una vita in divenire, che hanno il compito di infestare il territorio realizzato da Nico Vascellari (Vittorio Veneto, 1976), ma che di fatto si comportano come farebbero in qualsiasi altra condizione naturale.
Pastorale è l’intervento prodotto in occasione della Milano Art Week 2025 con il supporto del Comune di Milano e di Codalunga, curato da Sergio Risaliti e visibile (gratuitamente) fino al 2 giugno nella Sala delle Cariatidi. Un luogo un tempo dedicato ai momenti ludici della vita sociale, una sontuosa Salle à manger destinata a feste e banchetti, distrutta da un incendio a seguito dei bombardamenti della guerra nell’agosto del 1943. Si presenta ancora oggi con le sue ferite, e con ciò che resta della sua scultorea architettura: le cariatidi alle pareti, le lesene, i grandi specchi che amplificano lo spazio e che proiettano l’installazione a ogni passaggio.

Nel testo che accompagna la mostra scritto da Roberto Lacarbonara e Sergio Risaliti, presente nel catalogo edito da Skira, il riferimento è alla composizione musicale Pastorale di Ludwig van Beethoven prodotta tra il 1807 e il 1808, in cui la natura appare con le sue manifestazioni. L’immagine della campagna, lo scorrere dell’acqua nel ruscello, il temporale e la quiete successiva. Se nella composizione l’intento era quello di dipingere attraverso un linguaggio musicale la serenità di un paesaggio naturale, quello di Vascellari è trasferire la sua idea di natura all’interno di un luogo specifico. Un’idea che non prevede una relazione tra umani e non umani, quanto piuttosto che consenta il riconoscimento di essere parte di un unico contesto.
Un contesto, tuttavia, che la società contemporanea, e soprattutto alcune culture più di altre, hanno allontanato separandolo attraverso pratiche di esclusione. L’esclusione della natura con i suoi cicli e le sue dinamiche dalla vita dell’uomo, effetto di una scelta di antropizzazione radicale dei territori. Vascellari offre al pubblico l’opportunità di quel riconoscimento non dualistico, che si inquadra in una visione più olistica, in cui ogni elemento è parte di un unico ingranaggio. Una presa di coscienza che assume una chiarezza disarmante nella consapevolezza dell’esperienza ciclica umana e nell’oggettività del principio vita-morte.

E lo fa all’interno di un luogo segnato dai traumi della storia, dall’implosione e dalla caduta non solo architettonica di un edificio, ma come esito dell’aggressività umana. Un’aggressività che si manifesta attraverso conflitti sociali e globali, di cui la storia più recente ci racconta tra omissioni, deformazioni e propaganda degli uni o degli altri.
Anche il suono disturbante della scultura aggredisce lo spettatore, amplificandosi nella stanza con i soffitti alti, ma come a volerlo risvegliare da un profondo sonno in cui si trova. Anticipa il movimento meccanico che permette il lancio delle sementi, che opportunamente bagnate da un impianto di irrigazione, seguiranno le naturali dinamiche evolutive.

Le piante infestanti si adattano, si infiltrano là dove l’uomo vive, così come nei luoghi che abbandona, di cui prendono totale possesso. E in questa colonizzazione non umana c’è qualcosa di assolutamente meraviglioso. Un esempio di come la natura avanzi nonostante tutto, di come sia presente in una vita prima e dopo (probabilmente) gli umani. Non è mai superfluo ricordare che i primi abitanti della terra siano stati funghi e licheni, i primi coloni del pianeta, in cui l’uomo arriverà solo molto tempo dopo.
Il pubblico si muove intorno all’installazione nella porzione di pavimento ancora libera. Assiste al processo di trasformazione in atto delle malerbe che crescono all’interno di una sala, che rimanda ai fasti di un tempo e in cui riecheggiano gli scoppi delle bombe. Tuttavia, in questo strato di nozioni vecchie e nuove emerge compiuta l’attualità della genesi di una pianta, metafora della vita (umana e non umana) e portatrice di una rinnovata speranza.
In maniera coerente con il pensiero di Vascellari, ogni elemento utilizzato per la produzione della mostra sarà rimesso in circolazione secondo un principio di sostenibilità e rappresentazione emblematica di quel ciclo.