Nan Goldin, all’Hangar Bicocca un “villaggio di padiglioni” da togliere il fiato

E come la racconti una mostra così? Ce lo siamo chiesti in tanti – tra giornalisti, colleghi, appassionati d’arte – mentre uscivamo non poco tramortiti dalle enormi e scure Navate del Pirelli HangarBicocca dove è allestita la monumentale Nan Goldin. This will not end well (da questo sabato fino al 15 febbraio, a ingresso libero). 

Cominciamo allora a raccontare la cronaca degli eventi, a partire dal fatto che la leggendaria artista americana (Washington, 1953) che ora si è fatta minuta nel corpo e nella voce, resta più che mai indomita nello spirito. E quindi, a margine (o a suggello?) della conferenza stampa di presentazione di questa mostra-monstre, più che parlare delle sue opere (anche se ha detto che i due slide-show Memory Lost, del 2019-21, e You never did anything wrong, del 2024, sono i suoi lavori preferiti esposti) ha parlato di Gaza.

Di più: ci ha mostrato un video da lei realizzato, della lunghezza di alcuni minuti, dedicato al Sulala Animal Rescue. Nel montaggio ci sono spezzoni tratti dai social, prevalentemente dagli account di giornalisti e attivisti palestinesi che da due anni testimoniano quel che succede a Gaza: vediamo persone che mangiano al mercato, ragazzi che saltano muretti e giocano e poi le immagini dei bombardamenti, dei profughi, dei sudari, grandi e piccoli. «Fatemi pure qualche domanda, anche sui miei lavori presenti, ma sappiate che io gli ultimi anni li ho passati così: a guardare queste immagini impotente e appassionata. Appassionata nel sentirsi vicino a queste persone senza poter fare nulla», ha detto al termine della proiezione.  E ancora: «Ora tutti parlano di questo accordo di pace, che servirà solo a guardare altrove. Un falso trattato di pace che non porterà a nulla, se non qualche vantaggio a Trump. Io vi dico, a voi media che siete qui, non distogliete lo sguardo». 

Silenzio in sala. 


Nan Goldin
“This Will Not End Well”
Veduta della mostra, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2025
© Nan Goldin
Courtesy l’artista, Gagosian e Pirelli HangarBicocca, Milano
Foto Agostino Osio

Non sono note di colore, queste che vi raccontiamo. Chiunque conosce Goldin sa che da sempre è paladina, radicale e diretta, delle “cause scomode”: la sua persona, le sue parole nette sono una delle chiavi per comprendere anche il suo lavoro. E qui torniamo alla mostra, organizzata dal Moderna Museet di Stoccolma, in collaborazione con Pirelli Hangar Bicocca, con lo Stedelijk di Amsterdam, la Neue Nationalgalerie di Berlino e il Gran Palais di Parigi (proprio qui andrà dopo la tappa milanese). Un progetto enorme che riunisce il più grande slideshow mai presentato dall’artista e anche i suoi due più recenti lavori, il tutto impreziosito da un’installazione sonora che non è accessorio ma sostanza di questo progetto.

Nan Goldin
“This Will Not End Well”
Veduta della mostra, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2025
© Nan Goldin
Courtesy l’artista, Gagosian e Pirelli HangarBicocca, Milano
Foto Agostino Osio

La musica e l’architettura dello spazio danno se possibile ancora più forza alla videoarte di Nan Goldin che, fin dalla prima volta di passaggio a Milano, è rimasta molto colpita dall’hangar. Il percorso espositivo a L prevede un primo spazio di “vuoto” fisico, in realtà riempito dall’installazione sonora  Bleeding dei Soundwall Collective, preludio perfetto a ciò che si vede dopo. Il progetto sonoro, commissionato da Pirelli HangarBicocca per l’occasione, nasce dalle registrazioni ambientali raccolte durante le precedenti edizioni della mostra, avvenute a Stoccolma, Amsterdam e Berlino. «Questa mostra è un’opera collettiva», dice Goldin. Lo è nel tappeto sonoro e nell’allestimento, progettato in sette padiglioni e una grande installazione finale dall’artista stessa insieme all’amica Hala Wardé, architetta libanese. Ci muoviamo – commentano le curatrici della mostra milanese – Roberta Tenconi e Lucia Aspesi«in un villaggio di padiglioni». Tutto è buio, nero: i padiglioni hanno forme diverse, i primi sono quasi dei parallelepipedi, gli ultimi sono circolari, diventano delle mini-sale di proiezione dove sedersi e immergersi negli slideshow, film composti da fotogrammi e con accompagnamento musicale mai casuale

Nan Goldin
“This Will Not End Well”
Veduta della mostra, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2025
© Nan Goldin
Courtesy l’artista, Gagosian e Pirelli HangarBicocca, Milano
Foto Agostino Osio

Avvertenze varie: la stessa artista chiede a noi visitatori di riporre in tasca i cellulari. «Vi invito a scoprire la mia opera, invece di filmarla o fotografarla», si legge in un cartello all’ingresso della mostra, firmato da Nan Goldin. Viene poi dato, insieme alla guida della mostra, anche un vademecum che indica, nel caso, i tre padiglioni in cui si può tirare fuori il telefono (ma davvero non se ne sente il bisogno, davvero sarebbe come de-sacralizzare qualcosa). Altra cosa, importante: questa è una mostra slow, lenta. Servono minimo due ore, meglio tre, per vedere tutto. Tenete conto. 

Nan Goldin
The Ballad of Sexual Dependency, 1981-2022
Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2025
© Nan Goldin
Courtesy l’artista, Gagosian, e Pirelli HangarBicocca, Milano
Foto Agostino Osio

Si può cominciare da sinistra, dalla celeberrima The Ballad of Sexual Dependency, rimontata di recente rispetto le edizioni anni Ottanta: ecco lo sguardo di Goldin su chi le sta accanto, uno sguardo di prossimità e di vicinanza sulla sua comunità, quella di amici che con lei hanno vissuto tra New York, Berlino e Londra. Sono circa 700 ritratti, accompagnati da una colonna sonora eclettica: tra le persone ritratte, almeno una trentina sono morte di Aids. Sono diapositive che ci parlano di quarant’anni fa, eppure paiono così attuali. Si fa fatica a trattenere la commozione, una volta usciti dopo questo struggente slideshow di 40 minuti.

Nan Goldin
Memory Lost, 2019-2021
Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2025
© Nan Goldin
Courtesy l’artista, Gagosian, e Pirelli HangarBicocca, Milano
Foto Agostino Osio

L’asticella si alza ancora in Memory Lost, un lavoro dedicato al lato oscuro della dipendenza da sostanze, alle reazioni quando si è in astinenza, al modo in cui il mondo “dei sani e dei giusti” guarda chi è tossico. Le immagini sono fotografie spesso sfuocate, imperfette, di una bellezza che fa male. Dovremmo trovare gioia in Fire Leap, uno slideshow più recente dedicato all’infanzia, al momento in cui tutto è ancora possibile, eppure anche in questo progetto non mancano le ombre.

Nan Goldin
The Other Side,1992-2021
Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2025
© Nan Goldin
Courtesy l’artista, Gagosian, e Pirelli HangarBicocca, Milano
Foto Agostino Osio

Usciamo, ed entriamo in un altro grande classico: The Other Side, un quarto d’ora di immagini dedicati alla comunità queer, negli anni Settanta a Boston. È un progetto pieno di sofisticata bellezza e grande modernità che, alla sua uscita, fece molto scalpore: Nan Goldin la radicale Goldin, mostra al mondo persone che il mondo vorrebbe invisibili. Gli ultimi due padiglioni prima del progetto finale, realizzato nel cubo, sono forse quelli più estetizzanti: in Stendal Syndrome, del 2024, l’artista alterna ritratti intimi di persone amiche con capolavori del Rinascimento (spesso ha parlato della “sindrome di Stendhal” che la coglie ogni volta che varca il Louvre…) mentre You neve did anything wrong si concentra sull’eclissi solare con una serie di foto che paiono quasi quadri astratti. 

Nan Goldin
Sisters, Saints, Sibyls, 2004-2022
Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2025
© Nan Goldin
Courtesy l’artista, Kramlich Collection e Pirelli HangarBicocca,
Milano
Foto Agostino Osio

La mostra si chiude nel cubo con “Sisters, Saints, Sibyls”, installazione struggente e personale (non ci vergogniamo a dire che non siamo riusciti a trattenere le lacrime), un’ode alla vita della sorella maggiore Barbara, ricoverata in un istituto psichiatrico e morta suicida a 18 anni. La si guarda dopo aver salito delle scale che portano a una balaustra: lo spazio dinnanzi ci appare come una cappella (e in effetti in origine l’opera era stata commissionata per la cappella dell’Hôpital de la Salpêtrière di Parigi). Due figure di cera occupano lo spazio del pavimento: una donna in un letto d’ospedale al centro, un uomo sulla sinistra. «Questa è una storia di donne intrappolate – in senso figurato e mentale – in spazi mitologici, psicologici e fisici». Grazie ancora una volta, Nan Goldin, per dimostrare che l’arte contemporanea ha ancora senso, valore, forza. 

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