Maria Giovanna Zanella e il pane che diventa corpo: il Premio Cairo 2025 alla fragilità essenziale

Al Museo della Permanente di Milano, ieri 3 ottobre 2025, l’aria profumava di pane. Non era un dettaglio scenografico ma il cuore stesso dell’opera che ha vinto la ventiquattresima edizione del Premio Cairo: Buoni di Maria Giovanna Zanella, una scultura-installazione realizzata con pani cotti a legna, modellati come frammenti anatomici, masse carnose, organismi pronti a disfarsi e rinascere.

La giuria, presieduta da Bruno Corà, ha premiato Zanella “per la capacità di ricondurci all’essenzialità della vita con materiale semplice e con modo lieve, ma non privo di vigorosa invenzione linguistica”. Una definizione che dice molto della forza di Buoni: un lavoro che non punta alla provocazione, ma alla riflessione condivisa, offrendo allo spettatore un’esperienza tanto fisica quanto simbolica.

Il pane come corpo: l’idea è immediata, ma non banale. La superficie bruna, le irregolarità delle forme, le variazioni dovute alla cottura diventano metafora della nostra condizione. Buoni oscilla tra nutrimento e caducità, tra odore familiare e inquietudine della trasformazione. Guardando quei pani, il visitatore si chiede: è cibo? È carne? Sono entrambe le cose?

Chi conosce la storia dell’arte non può non ricordare i precedenti. Piero Manzoni negli anni Sessanta aveva già modellato pani, fissati negli Achrome o trasformati in Pane scultura, operazioni concettuali che mettevano in crisi il mito dell’opera eterna. Dieter Roth aveva lasciato marcire cioccolato e formaggi, accettandone il degrado come parte integrante del lavoro. Joseph Beuys aveva fatto di grasso e miele i materiali di una mitologia personale. Zanella non ignora questa genealogia, ma la piega in un’altra direzione. Dove Manzoni ironizzava sul sistema e Roth accettava la decomposizione come atto estremo, lei lavora sulla tenerezza della caducità. Non c’è volontà di scandalizzare, ma di offrire empatia, di accogliere la fragilità come parte inevitabile dell’esistenza.

La sua ricerca, del resto, nasce da lì. Nata a Schio nel 1991, formata all’Accademia di Belle Arti di Venezia, Zanella ha iniziato con la pittura, scegliendo il corpo come centro del proprio linguaggio. Corpi abbondanti, sensuali, fuori canone popolano le sue tele: figure nude immerse in intimità che sfidano convenzioni estetiche. Nei suoi quadri l’eros non è mai ostentazione, ma dichiarazione di esistenza. La carne è tenera, reale, rappresentata con pennellate dense e colori vibranti.

Negli ultimi anni, la transizione alla scultura ha aperto nuove direzioni. In Fischi per fiaschi, sei mani in terracotta che producono suono, Zanella ha spostato l’attenzione dal corpo intero al gesto, dal sesso al tocco. Con Buoni, il passo è ulteriore: il corpo non è più rappresentato né frammentato, ma evocato attraverso la materia viva del pane, destinata a cambiare, a deteriorarsi. È un lavoro che non cerca l’eternità, ma accetta la temporaneità come condizione naturale.

La scelta della giuria ha un valore che va oltre il singolo percorso. Il Premio Cairo, nato nel 2000, è diventato negli anni una piattaforma centrale per l’arte emergente italiana, capace di lanciare artisti poi approdati alla Biennale di Venezia e a rassegne internazionali. Premiare Buoni significa riconoscere una tendenza precisa: il ritorno a materiali poveri, umili, immediatamente riconoscibili, capaci di parlare a tutti pur mantenendo densità simbolica. È un segnale chiaro: l’arte di oggi non deve necessariamente urlare, può invece convincere con la semplicità che diventa linguaggio universale.

Certo, il rischio di déjà-vu è reale. In un contesto in cui la storia dell’arte ha già esplorato a fondo l’uso del cibo come materiale, qualcuno potrebbe vedere in Buoni un ritorno all’ovvio. Ma il senso della scelta sta proprio nel ribaltare questa percezione: Zanella non ripete un gesto concettuale già fatto, lo reinterpreta con un’urgenza diversa, legata al nostro presente. Dove negli anni Sessanta dominava l’ironia o la provocazione, oggi prevale il bisogno di cura, di riconoscere la vulnerabilità come valore.

In questo, l’opera appare in sintonia con il tempo. L’arte contemporanea, in un’epoca segnata da crisi e precarietà, non cerca più di abbattere muri ma di offrire immagini simboliche della resistenza e della speranza. Buoni diventa così il ritratto di una comunità fragile, che trova forza proprio nell’accettare i propri limiti.

Alla Permanente, tra le venti opere finaliste che hanno dato voce alle tensioni del presente, quella di Zanella ha convinto perché non si limita a parlare: si impone con la sua fisicità. Lo spettatore non è chiamato a decifrare un concetto astratto, ma a percepire un odore, una texture, una presenza viva. È un’esperienza che non dimentichi, perché rimane nella memoria sensoriale, prima ancora che in quella intellettuale.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

Didatticarte: Il volto inclusivo del collezionismo didattico

Dopo quasi quindici anni dalla creazione del sito Didatticarte.it, Emanuela Pulvirenti continua ad essere attivissima nell’ambito della didattica della storia dell’arte, dedicandosi infaticabilmente alla divulgazione di contenuti specialistici attraverso i diversi canali social.

Artuu Newsletter

Scelti per te

Il design come ponte verso l’arte: l’opera di Franco Perrotti alla Fabbrica del Vapore

Nel lavoro di Franco Perrotti, designer e artista dalla incontenibile poliedricità, questi due aspetti si compenetrano, dando vita a una ricerca singolare e ibrida che si muove tra diversi linguaggi espressivi.

Fantastica, nel nome di Luca Beatrice: la Quadriennale racconta l’arte italiana di oggi senza osare troppo

La premessa doverosa di chi scrive è il senso dell’assenza. Questa “Fantastica” Quadriennale che ha appena aperto al Palazzo delle Esposizioni di Roma e che può essere visitata fino al 18 gennaio del prossimo anno è figlia di un’intuizione del presidente Luca Beatrice

Seguici su Instagram ogni giorno