Maggio a New York: fiere d’arte tra crisi globale e voglia di rilancio

New York, a maggio, si trasforma in un’arena artistica globale. Le principali case d’asta organizzano vendite record, musei e gallerie propongono mostre di alto profilo e le fiere si sovrappongono tutte in una settimana. L’obiettivo? Catturare l’attenzione dei collezionisti internazionali in un momento di grande incertezza economica e politica.

Dopo giorni di pioggia, Frieze New York ha inaugurato l’8 maggio con una giornata calda e luminosa allo Shed, dove 67 espositori hanno acceso l’attenzione. A pochi isolati, NADA New York ha portato 121 espositori allo Starrett-Lehigh Building. Independent (85 espositori) è tornata agli Spring Studios di TriBeCa, mentre TEFAF New York, con 91 espositori, ha riaperto le porte al Park Avenue Armory. In contemporanea si sono svolti anche Spring/Break, Future Fair, Esther II e la 1-54 Contemporary African Art Fair.

Il tutto in un contesto delicato: secondo Art Basel e UBS, le vendite globali d’arte sono calate del 12% nel 2024, dopo un precedente -4% nel 2023. A pesare sono costi operativi elevati, tensioni geopolitiche, un possibile ritorno della recessione e l’instabilità del mercato azionario. Il clima si riflette nei corridoi: meno entusiasmo, più cautela.

Frieze Los Angeles a febbraio aveva lasciato qualche speranza, registrando 30.000 visitatori nonostante le difficoltà climatiche. Ma a New York la situazione è diversa: qui le fiere si fronteggiano a distanza di pochi isolati. Eppure, le mega-gallerie non mancano. Gagosian, per esempio, ha presentato tre sculture di Jeff Koons raffiguranti l’Incredibile Hulk. Una, Hulk (Tubas), è stata venduta per 3 milioni di dollari. A TEFAF, Gagosian ha schierato Anna Weyant con una personale dedicata ai gioielli, sold-out già all’apertura.

Anche Thaddaeus Ropac ha registrato vendite solide a Frieze, tra cui lavori di Liza Lou (225.000 dollari), David Salle (130.000 dollari) e Robert Longo (65.000 dollari). Pace Gallery ha puntato su Adam Pendleton e Lynda Benglis: i dipinti Black Dada sono andati tutti venduti nel primo giorno, per cifre fino a 425.000 dollari.

Andrew Kreps ha venduto una scultura di Jes Fan per 26.000 dollari e un’opera di Harold Stevenson per 70.000. La Goodman Gallery ha piazzato lavori di Pamela Phatsimo Sunstrum (90.000 dollari), Carrie Mae Weems (100.000 dollari), William Kentridge, Shirin Neshat, e Yinka Shonibare. Karma ha venduto opere di Gertrude Abercrombie (350.000), Richard Mayhew, Manoucher Yektai e Reggie Burrows Hodges.

Il cambio di proprietà di Frieze ha alimentato voci e aspettative: Endeavor Group Holdings ha venduto il marchio per 200 milioni di dollari ad Ari Emmanuel. Intanto, TEFAF cerca di allontanarsi dall’immagine accademica delle antichità per posizionarle come arte da collezione. Charles Ede ha presentato 70 oggetti, da un torso romano da 850.000 dollari a un cucchiaio bizantino da 2.000 dollari.

Tra i pezzi forti in fiera: una maschera di Giacometti, un dipinto di Marie Laurencin, un tavolino di Zaha Hadid e una pensilina firmata Jean Prouvé. Lisson Gallery ha venduto opere di Sean Scully (500.000), Dalton Paula (200.000), Olga de Amaral, Kelly Akashi e Anish Kapoor.

Anche le mega-gallerie europee hanno fatto la loro parte. Thaddaeus Ropac ha venduto la maggior parte della personale di Daniel Richter nelle prime due ore. White Cube ha piazzato opere di Tracey Emin (quasi 400.000), Julie Mehretu e Ed Ruscha. David Aaron ha venduto una scultura egizia per circa 700.000 dollari, mentre David Tunick ha chiuso una delle vendite più preziose: un doppio ritratto del figlio di Cézanne.

David Zwirner ha venduto sculture di Ruth Asawa tra 320.000 e 2,8 milioni di dollari e disegni tra 50.000 e 160.000 dollari. Gladstone Gallery ha venduto 45 opere di George Condo tra 15.000 e 150.000 dollari.

E il pubblico? Le gallerie più strutturate dichiarano vendite solide, ma nel mercato medio e basso c’è prudenza. Le vendite richiedono più tempo, con trattative che possono durare mesi. Il mercato si sta ricalibrando: c’è bisogno di nuovi modelli, più inclusivi, resilienti e in grado di generare valore nel lungo periodo.

Il messaggio è chiaro: il collezionismo non è necessità, è desiderio. E per farlo fiorire servono fiducia, passione e visione. Vedremo se il maggio newyorkese 2025 sarà il segnale di un nuovo inizio.


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