Babele di Fabrizio Dusi è un urlo afono, una richiesta di aiuto riferita alla nostra incapacità di comunicare e al bisogno inascoltato di relazioni significative. Ma cosa vuol dire esattamente comunicare? Deriva dal latino communis e vuol dire mettere in comune. Dunque comunicare non è semplicemente trasmettere o ricevere, ma mettere in comune. Ecco qui il cortocircuito, l’ossimoro su cui s’innesta l’idea di Dusi: con le moderne tecnologie l’atto del comunicare è percepito come qualcosa di sempre più necessario, ma non lo è altrettanto quello del mettere in comune.
Per questa ragione è significativo che Babele sia stata collocata in un luogo partecipativo, attraversato costantemente da ragazzi, ovvero nello spazio adiacente al chiostro ottocentesco dell’Università Lumsa di Palermo. E non è un caso che i drappi d’oro che scandiscono lo spazio siano dello stesso materiale delle coperte isotermiche che coprono i nostri immigrati una volta salvati dal mare.

“La coperta isotermica ha un forte valore simbolico. Rappresenta la fragilità umana, non a caso utilizzata nei soccorsi ed espressione di un bisogno di aiuto. Che va “ascoltato”!” (Giampaolo Frezza, Prorettore vicario Lumsa e direttore Lumsa Art Factory)
Questi drappi formano delle moderne Torri di Babele che ci comunicano il nostro dramma epocale. Ma essi ci ricordano anche la spiritualità dei fondi oro bizantini, quegli stessi fondi dorati che nella cappella Palatina di Palermo esaltano proprio la scena della costruzione della torre di Babele.
Di questi argomenti ho avuto l’opportunità di dialogare con l’artista di fama internazionale Fabrizio Dusi e con Giovanni Gardini, direttore raccolta Lercaro di Bologna e del Museo diocesano di Faenza, che ne ha presentato l’opera insieme a Valentina Bruschi, storica dell’arte e docente di Economia e valorizzazione dei beni culturali presso la Lumsa di Palermo, all’interno di un’iniziativa del progetto “L’arte che parla”, promossa dal Dipartimento Regionale dei Beni Culturali e Identità Siciliana.
Una mattina d’inverno ci siamo ritrovati all’interno di un bar del centro storico di Palermo, l’occasione perfetta per una conversazione speculativa davanti ad un caffè.

Come ti è venuto in mente il tema di Babele
F.D. Il tema è legato al momento storico che stiamo vivendo
E il materiale?
F.D. Il materiale è molto pratico, si presta ad essere trasportato, ma al tempo stesso ha un valore simbolico
È un fondo oro contemporaneo che probabilmente risponde un forte bisogno di spiritualità. È questo che hai voluto esprimere?
F.D. Con questa doppia fila di torri, con questo groviglio di persone con la bocca aperta su questo materiale dorato ho voluto esprimere un bisogno di aiuto, un’emergenza.
La bocca è spalancata e le orecchie non ci sono, ma c’è l’immancabile cellulare.
F.D. In realtà anche gli occhi, che sono presenti e aperti, non si guardano mai tra di loro, anche questo è un elemento di incomunicabilità.

Quindi c’è un emittente ma non c’è un ricevente, la comunicazione è falsata, è a questo che si riferisce il sintagma ascoltami?
F.D. “Ascoltami” è grido di aiuto che ho inserito su alcune magliette dei personaggi raffigurati. Questa parola è declinata in tutte le lingue – dal coreano, all’arabo, all’indiano – ed è la richiesta, il grido di aiuto dell’umanità.
Dai tuoi lavori si vede chiaramente che hai studiato grafica, il volto stilizzato che urla rivolto verso l’alto ricorda uno dei personaggi di Guernica.
F.D. Si è un classico!
Il dialogo prosegue con Giovanni Gardini.
Come si inserisce il tema della torre di Babele nella poetica di Dusi?
G.G. Babele è la confusione delle lingue, la dispersione dell’umanità. Questo tema dato dalla incapacità di comunicare si inserisce a pieno titolo all’interno della poetica di Fabrizio Dusi. Questo è uno dei suoi grandi temi. Quando racconta queste folle, lui racconta proprio questa tematica. Quest’opera che ha portato alla Lumsa e alla GAM di Palermo si inserisce all’interno di una sua produzione più ampia, costituita anche da ceramiche.
A proposito di ceramiche, Dusi ha anche raffigurato Adamo ed Eva, o meglio, Eva e Adamo
G.G. Si perché nella sua visione è l’uomo che porge la mela alla donna e non il contrario, come invece riportano i testi biblici.
La Babele di Dusi con le sue grandi Torri dorate esposte qui a Palermo, sono torri affollate e brulicanti di un’umanità sola, incapace di relazione.

Qual è il nesso tra le due opere?
G.G. Uscendo dal giardino dell’Eden Eva e Adamo interrompono il dialogo con Dio, mentre con la costruzione della Torre di Babele di uomini interrompono il dialogo tra di loro, non si comprendono, non si capiscono più. Questi due brani biblici si potrebbe dire che presentano un‘incapacità totale di relazioni: verso l’alto, quindi in verticale, cioè tra gli uomini e Dio e in orizzontale, cioè tra gli uomini. Dusi in tutta la sua ricerca artistica è affascinato da questo tema del dialogo, o meglio, dalla sua negazione, tanto da diventare quasi una cifra stilistica di tutto il suo lavoro.
Vado via pensando al “brain rot”, il neologismo appena scelto dall’Oxford Dictionary per il 2024 che indica il “cervello marcio” per la sovraesposizione ai social. Rifletto ancora sul fatto che siamo sommersi da una comunicazione vuota, che comunica il nulla. E i contenuti vacui, si sa, non possono indurre ad un reale ascolto.
Incomunicabilità, valore dell’ascolto e della condivisione sono i temi da affrontare con le nuove generazioni, nella speranza che possano contribuire a formare nuove coscienze. Mi consola il fatto che una di queste “Torri di Babele” rimarrà all’ Università Lumsa contribuendo a formare una collezione di opere d’arte, la Lumsa Art Factory.