L’Obbligo della Verità: Un’Indagine sulla Funzione dell’Arte da Platone all’Intelligenza Artificiale

L’arte deve esprimere la verità? Questa domanda, tanto semplice nella sua formulazione quanto profonda nelle sue implicazioni, attraversa l’intera storia del pensiero occidentale. Essa presuppone un legame quasi morale tra l’opera e un valore —la verità— che sembra appartenere più propriamente alla filosofia o alla scienza. Rispondere a tale quesito richiede un’indagine preliminare su cosa si intenda per “verità” in un contesto artistico, un ambito intrinsecamente non-discorsivo.
La tesi sostenuta è che l’arte non ha l’obbligo di conformarsi a una nozione precostituita di verità; piuttosto, il suo valore intellettuale più profondo risiede nella sua capacità di interrogare, riconfigurare e generare attivamente nuove forme di significato e di verità. Ragioniamo analizzando la cornice classica del problema, delineando le tre concezioni di verità — come correttezza, plausibilità e rivelazione metafisica— che emergono dal confronto tra Platone e Aristotele. Successivamente, valuteremo di inserire queste categorie in dialogo con le prospettive contemporanee, in particolare con la visione processuale e “artificialista” di Alexander Manu. Infine, si esplorerà come l’avvento dell’intelligenza artificiale generativa non solo riproponga con urgenza l’antica questione, ma la trasformi radicalmente, costringendoci a rinegoziare la natura stessa della verità artistica e il ruolo dell’artista.

La Questione Antica: Verità come Correttezza, Plausibilità e Rivelazione

Il dibattito filosofico sulla verità nell’arte ha le sue radici nella Grecia antica. Il confronto fondamentale tra Platone e Aristotele ha dato origine a tre distinti concetti di verità applicabili al campo artistico.
Platone, nella Repubblica, esprime un profondo scetticismo. La sua critica si basa su una gerarchia metafisica: l’arte, essendo un’imitazione di oggetti sensibili che sono a loro volta imitazioni delle Idee perfette, è tre volte lontana dalla verità essenziale. Nel migliore dei casi, un’opera può essere giudicata per la sua correttezza nel rappresentare l’apparenza, ma anche in questo spesso fallisce, proponendo modelli moralmente ed epistemicamente falsi. Tuttavia, la critica platoniana può essere letta non come una semplice condanna, ma come un “invito” filosofico. Platone sfida l’arte a giustificare la sua esistenza in una città ben governata, a dimostrare di poter essere non solo piacevole ma anche “benefica”, ovvero di possedere un valore cognitivo autonomo che non sia meramente illusorio.
Aristotele, nella Poetica, accetta implicitamente questo invito, ma sposta il piano del discorso. Per lui, il dominio dell’arte non è la realtà fattuale, ma la possibilità. Il poeta non deve descrivere “le cose come sono state”, ma “le cose come potrebbero essere“. Di conseguenza, il criterio di valutazione non è la correttezza, ma la plausibilità estetica. Un’opera è artisticamente valida se la sua trama è coerente e rappresenta degli universali del comportamento umano in modo convincente. In questo senso, la poesia è “più filosofica e più seria della storia”. Aristotele non risolve il problema metafisico di Platone, ma lo dissolve, trasformandolo in una questione epistemica: l’arte non rivela l'”essere in sé”, ma fornisce una forma di conoscenza e di comprensione emotiva sul mondo umano.
Dal mondo classico ereditiamo quindi una griglia concettuale complessa: la verità come corrispondenza fattuale (correttezza), la verità come coerenza estetica (plausibilità) e la verità come rivelazione dell’essenza (la sfida platonica ancora aperta).

La Svolta Contemporanea: La Verità come Processo Artificiale

Il pensiero contemporaneo ha ulteriormente complicato questo quadro. Alexander Manu, nel suo saggio Transcending Imagination, offre una prospettiva radicale, perfettamente adatta all’era digitale, partendo dall’assunto che “tutta l’arte è artificiale“. Questa affermazione dissolve la nostalgia per un’arte “naturale” o mimetica. L’arte non è una copia della natura, ma una costruzione fin dal suo principio. Questa visione abbatte il muro tra la creatività umana e quella della macchina: se tutta l’arte è artificiale, allora le creazioni dell’IA sono semplicemente un’altra forma di artificio, che si inserisce in un lungo continuum.
Manu sposta l’attenzione dal prodotto finale al processo, che scompone nella triade “Intenzione-Articolazione-Manifestazione”. L’Intenzione è il significato, il concetto. L’Articolazione è l’energia spesa per tradurlo in una forma comunicabile (per l’IA, il prompt). La Manifestazione è l’opera finita. In questo nuovo paradigma, l’artista umano si trasforma da “creatore” a “narratore”: la sua abilità non risiede più nella maestria tecnica della manifestazione, ormai delegabile alla macchina, ma nella profondità della sua intenzione e nella ricchezza poetica della sua articolazione. La “verità” di un’opera, quindi, non si trova solo nel risultato, ma nella coerenza e nella potenza del processo che l’ha generata, a partire dall’intenzione umana.

Intelligenza Artificiale: La Crisi e la Generazione della Verità

L’avvento dell’intelligenza artificiale generativa costringe a una resa dei conti con questo bagaglio filosofico. L’IA mette in crisi le nostre tradizionali nozioni di verità artistica, padroneggiandone alcune e mettendone a nudo altre.

  • La Verità come Correttezza: L’IA può raggiungere un livello di correttezza mimetica quasi perfetto, generando immagini fotorealistiche indistinguibili dalla realtà. Tuttavia, come la storia dell’arte del XX secolo ci ha insegnato dopo l’invenzione della fotografia, la mera esattezza tecnica raramente coincide con il valore artistico. La perfetta correttezza, se priva di un’intenzione più profonda, rischia di produrre un “kitsch sterile“.
  • La Verità come Plausibilità: Qui l’IA eccelle. Essendo stata addestrata su un archivio sterminato di opere umane, è capace di generare infinite creazioni plausibili, coerenti con gli stili, i generi e gli archetipi che ha imparato. Può creare un’opera “nello stile di Van Gogh” con una verosimiglianza sconcertante. Tuttavia, come avverte Manu, questo virtuosismo rischia di essere una riproduzione di archetipi esistenti, non la creazione di forme autenticamente nuove.
  • La Verità come Rivelazione: Qui si gioca la partita decisiva. Può un’IA rispondere all’invito di Platone? Può creare un’opera che riveli una verità non-discorsiva, un significato che trascenda la somma statistica dei suoi dati di addestramento? Un’arte veramente creativa, è stato sostenuto, deve rappresentare qualcosa che “non esiste” ancora nel mondo simbolico conosciuto.
    L’IA, per sua natura, opera su ciò che è già stato detto e visto. Sembra condannata a rimanere nel dominio platonico dell’imitazione di imitazioni. Ed è qui che il ruolo dell’artista umano, come teorizzato da Manu, diventa cruciale. Se l’IA padroneggia la plausibilità, il compito dell’artista non è più quello di creare opere plausibili, ma di formulare articolazioni (prompt, sistemi, processi) così radicali e inaspettate da costringere la macchina a uscire dai suoi schemi, a generare quella “bellezza incidentale”, una forma di rivelazione emergente che non era né nell’intenzione dell’uomo né negli schemi della macchina.

Conclusione

Alla domanda “l’arte deve esprimere la verità?“, la risposta che emerge da questo percorso è un no qualificato. L’arte non deve conformarsi a una singola, rigida nozione di verità. Al contrario, la sua funzione più vitale è quella di essere un laboratorio perenne in cui le nostre concezioni di verità vengono messe alla prova, ibridate e generate ex novo.
L’arte non è obbligata a essere vera nel senso di essere fattualmente corretta o anche solo plausibile. Questi sono domini che l’intelligenza artificiale sta rapidamente conquistando. La vera vocazione dell’arte, la sua risposta alla sfida platonica, risiede nella sua capacità di generare una verità come rivelazione: una costellazione di significato che non può essere espressa altrimenti, una forma che non illustra una conoscenza preesistente ma ne crea una nuova.
Nell’era dell’IA, questa funzione diventa più critica che mai. L’artista non è colui che crea una bella immagine, ma colui che, attraverso un’intenzione profonda e un’articolazione magistrale, interroga la macchina in modo tale da far emergere l’inatteso. La verità dell’arte non risiederà nella risposta dell’IA, ma nella domanda dell’uomo.

Bibliografia essenziale

  • Boris Groys, The Truth of Art, e-flux journal, n. 71, 2016.
    Un saggio cruciale per comprendere come la nozione di verità si trasformi nella produzione e circolazione artistica contemporanea.
  • Errol Boon, The Question of Artistic Truth: Preparations for a Critique of Non-Discursive Reason (Tesi di Master of Arts, 2023).
    Studio che distingue tra correttezza fattuale e plausibilità estetica, e sostiene l’idea che l’arte contribuisca alla comprensione del mondo.
  • Nelson Goodman, Languages of Art (1968).
    Un classico della filosofia analitica dell’arte: introduce il concetto di “worldmaking” per spiegare il ruolo conoscitivo delle rappresentazioni artistiche.
  • Noël Carroll, Philosophy of Art: A Contemporary Introduction (2000).
    Un’introduzione chiara alla filosofia dell’arte, utile per contestualizzare il dibattito sulla verità artistica.
  • Catherine Z. Elgin, Considered Judgment (1996).
    L’autrice sostiene che anche le metafore, le fiction e le opere d’arte contribuiscono alla conoscenza, pur non essendo letteralmente vere.
  • Platone, Repubblica, libri II e X.
    Fondamentale per comprendere la diffidenza originaria verso l’arte come imitazione ingannevole.
  • Aristotele, Poetica.
    Testo fondativo della teoria della verosimiglianza come via conoscitiva attraverso l’arte.
  • Walter Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica (1936).
    Riflessione sul cambiamento del valore (e della verità) dell’arte nell’era della tecnica e dei media.
  • Hans-Georg Gadamer, Verità e metodo (1960).
    Propone un’idea di verità ermeneutica: la comprensione profonda del senso, non la verifica scientifica.
  • David Freedberg e Vittorio Gallese, Motion, Emotion and Empathy in Esthetic Experience, Trends in Cognitive Sciences, 2007.
    Studio interdisciplinare su come la percezione artistica attivi meccanismi cognitivi e affettivi che portano a una forma di comprensione incarnata.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

Didatticarte: Il volto inclusivo del collezionismo didattico

Dopo quasi quindici anni dalla creazione del sito Didatticarte.it, Emanuela Pulvirenti continua ad essere attivissima nell’ambito della didattica della storia dell’arte, dedicandosi infaticabilmente alla divulgazione di contenuti specialistici attraverso i diversi canali social.

Artuu Newsletter

Scelti per te

Nel salotto degli spiriti: Fata Morgana riporta in vita le visioni di Palazzo Morando

La contessa è Lydia Caprara di Montalba (1876-1945) insieme al marito Gian Giacomo Morando Attendolo Bolognini (1855-1919), ha vissuto a Palazzo Morando, oggi sede della collezione di Costume e Moda del Comune di Milano

L’intimità della scultura. Mani-Fattura: le ceramiche di Fontana alla Collezione Peggy Guggenheim di Venezia

Dall’11 ottobre fino al 26 marzo 2026, la Collezione Peggy Guggenheim ospita Mani-Fattura: le ceramiche di Lucio Fontana, una mostra che riunisce circa settanta opere scultoree e racconta, con taglio cronologico e tematico, un artista che dialoga con la terra e il fuoco.

Dal filo al silicio: i Cyber Carpet di Matteo Mandelli in mostra a Parigi

Nelle sale della Galerie La La Lande di Parigi, a pochi passi dal Centre Pompidou, i tappeti di Matteo Mandelli (YOU) non si adagiano sul pavimento: si sollevano, diventano superfici sospese, mappe concettuali, diagrammi di un pensiero che intreccia tradizione e tecnologia.

Non c’è immagine più intensa, più intima, più interiore dell’ombra. Ceroli Totale alla GNAMC

“Un artista che riesce a meravigliarsi e a meravigliare”: queste le parole che la direttrice della GNAMC (Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea) Renata Cristina Mazzantini utilizza per descrivere Mario Ceroli, l’autore a cui è dedicata la mostra dal titolo Ceroli Totale (curata da R.C. Mazzantini e C. Biasini Selvaggi), inaugurata il 7 ottobre alla GNAMC.

Seguici su Instagram ogni giorno