La ricerca artistica e filosofica di Gianluca Balocco – in arte M.O.O.R. (Mind Opens Our Reality) – riscrive le regole dell’arte contemporanea e digitale. Le sue installazioni immersive creano ambienti percettivi che rovesciano i modelli espositivi e museografici contemporanei e aprono nuovi orizzonti ancora da esplorare. Il suo modo di fare arte trasforma il rapporto tra spettatore e opera d’arte in un’esperienza sensoriale unica, ridefinisce il ruolo dell’artista e le sue aspettative di significato e impatto emotivo dell’atto creativo.
Un nuovo linguaggio creativo ha bisogno a volte di molti anni di ricerca e sperimentazione, prima di trasformarsi in opera d’arte, e molte parole per essere raccontato. Spiegare la complessità di un’opera di Moor non è semplice. Eppure, quando la guardi, la sensazione di benessere è immediata. Non è necessario decodificarne il messaggio, si può quasi dire, anzi, che ognuno ne tragga ciò di cui, inconsapevolmente, ha bisogno. Concetti ripresi da sciamanesimo, esoterismo, fisica quantistica, neurobiologia vegetale e animale, neuro estetica si intrecciano in un flusso continuo con le emozioni evocate da immagini fotografiche, visioni astratte e percezioni fisiche. È un’arte viva. Perfino l’immagine statica finale, frutto dell’interazione con l’opera, sembra prendere vita, se la osservi intensamente. Esce dalla tela elettronica e ti entra dentro, perché, infondo, contiene già una parte di te ed il tuo subconscio la riconosce come qualcosa di affine, di familiare.
Questa intervista ti porterà al cuore del suo universo creativo. Gianluca Balocco ha raccontato ad Artuu Magazine la sua visione, la piattaforma che ha concepito e, nella seconda parte, i nuovi progetti: Neural Temple – MOOR, installazione percettiva, sensoriale e sinestetica presentata in anteprima mondiale al Fuorisalone del mobile di Milano nello spazio Hub G-Gravity progettato da Gio Ponti; Groundwave, percezioni della Laguna Etrusca, l’installazione sensoriale site-specificpermanente che sarà inaugurata a fine Maggio nel nuovo Museo Casa Rossa Ximenes a Castiglione della Pescaia (GR).

Intervista a Moor Gianluca Balocco
L’arte è …?
L’arte ha senso per me solo se si instaura una relazione fisica con l’opera. Noi conosciamo attraverso i sensi e le emozioni, la nostra civiltà purtroppo sta dimenticando questa verità. Bisogna riportare l’arte alla realtà e tornare a frequentare i musei e le mostre d’arte. Non dico di abbandonare i social e la tecnologia, le mie opere si basano su tecnologie molto avanzate, ma non dobbiamo innamorarcene troppo. I luoghi della cultura sono fondamentali per la socializzazione, il confronto e anche il riconoscimento dell’altro come parte di sé. Oggi siamo troppo concentrati su noi stessi, ci vediamo attraverso i selfie e l’autorappresentazione edonistica, ed egocentrica, dei social. Attraverso progetti come Neural Temple cerco di costruire spazi che siano ecosistemi visivi e sonori, ambienti che ci aiutino a disattivare l’automatismo percettivo acquisito negli anni e a rientrare in noi stessi. Non si tratta solo di installazioni, ma di ambienti per la cura e il benessere della mente.

Com’è nato tutto?
Le installazioni che vedi oggi sono il risultato di uno studio iniziato nel 1999, ai tempi della mia formazione universitaria. Non basta però avere un’idea creativa, bisogna trovare qualcuno che ti aiuti a realizzarla. Ci sono voluti anni di ricerca, sperimentazione e la fortuna di incontrare un’azienda con il giusto know-how tecnologico, ma soprattutto disposta a cogliere la sfida per realizzare qualcosa che ancora non esisteva. Ho dovuto sovvenzionare io stesso gran parte del mio lavoro, non è stato facile, ma questo mi ha restituito un’assoluta libertà di azione senza vincoli o compromessi. Adesso ho un totale controllo e proprietà della mia opera. Mi sono concesso il lusso di fare solo le cose in cui credo seguendo il mio pensiero, la mia intuizione, e basta.
Quanta parte ha l’Intelligenza Artificiale nel tuo lavoro?
Trovo molto interessante lavorare con l’Intelligenza Artificiale, perché riesco a creare una forma di dialogo e quando sbaglia dimostra la sua “umanità”. Si tratta in fondo di algoritmi creati ed allenati da esseri umani fallibili. L’intuizione creativa nasce spesso dall’errore, che può portare ad una nuova soluzione come è accaduto nella storia dell’arte con altre tecniche creative, fotografia e pittura incluse. L’AI resta comunque, sempre e solo uno dei tanti strumenti attraverso cui faccio arte. Non potrà mai essere l’esecutore delle mie opere.

Opera interattiva o opera inter-percettiva?
Il concetto di interattività lo considero ormai superato, apparteneva agli anni ’90 e 2000. Si tratta di un’interazione prevedibile perché scritta nella tecnologia che la genera o immaginata nella mente dell’artista che la crea o la agisce. Il concetto di inter-percezione, invece, che deriva dalle neuroscienze, è piuttosto nuovo. Quando creo un’opera inter-percettiva sviluppo 360 milioni di stati potenziali di quell’opera, che si manifestano quando una persona entra in relazione con essa. L’opera finale che si genera attraverso questa interazione è unica, perché rappresenta quella persona e io non avrei potuto prevederne il risultato.
È una forma d’arte che capovolge il ruolo stesso dell’artista. Sei consapevole che il risultato potrebbe sfuggirti di mano, perché dipende da chi entrerà in contatto con la tua installazione, ma questa è la magia dell’arte. Chi lavora ad un’opera interattiva, invece, vuole di fatto controllare l’interazione, perché l’interazione in tutte le sue possibili variabili è stata progettata prima.
Come si svolge l’esperienza che proponi nelle tue installazioni?
Il mio è un linguaggio neuro estetico. Nel momento in cui un osservatore entra in contatto con la mia opera la interpreta. Questo accade perché la nostra mente, in due millesimi di secondo, dà un senso a quello che vediamo. In neuroscienze si chiama costanza situazionale o costanza implicita. Entrano in gioco le emozioni e la preparazione culturale, ma soprattutto la nostra impronta visiva. Ognuno di noi legge le immagini secondo parametri diversi, che dipendono dalla nostra identità, dall’esperienza, dallo stato psicologico ed emotivo in cui ci troviamo. Il processo di soggettivizzazione dell’arte che ne risulta, porta la mia opera a diventare quantistica, cioè sistemica.
Fino ad un paio di anni fa lavoravo con dei prototipi e dei panel test, oggi la mia ricerca è arrivata a creare tre livelli o, possiamo dire, tre fasi di intensità diversa con cui è possibile entrare in relazione con la mia opera e vivere l’esperienza. Questo è vero per ciascuna delle sei installazioni tematiche che ho creato: Venice Skin, Transland, Pattern Forest Experience, Assonance, Camera22, Wunderkammern, Floating Eros.
The4thdimension
In uno spazio isolato e poco illuminato, il visitatore si trova davanti ad una tela elettronica. Non è diverso dall’osservare un’opera d’arte qualsiasi. L’esperienza inizia con un’immagine primaria complessa creata da me e volutamente equivoca. Una sorta di interrelazione di immagini a specchio, che si riflettono una dentro l’altra. È l’unica immagine uguale per tutti.
L’esperienza non può essere fatta online. Io voglio che l’osservatore sia fisicamente a contatto con la mia installazione per vedere la strumentazione ed essere subito consapevole che ha innescato una relazione con l’opera, solo per il fatto di essere entrato nella stanza. Il catching è il momento in cui c’è il contatto magico con la mia opera. Quando lo sguardo dell’osservatore viene agganciato dallo strumento che legge i movimenti oculari, sarà ancor più evidente che è lui il responsabile delle trasformazioni dell’immagine. Il sistema che ho sviluppato registra milioni di dati biometrici e legge in tempo reale cosa stai guardando e se sei interessato a quel dettaglio. Le misurazioni avvengono soprattutto quando lo sguardo si fissa in un punto, ma rileva anche i movimenti involontari, le reazioni emotive.
Il nome, The4thdimension, si riferisce proprio a questo: percepisce uno stato subliminale, quindi inconsapevole, dell’osservatore, la sua quarta dimensione. Se l’osservatore distoglie lo sguardo o perde la concentrazione la trasformazione si ferma, per questo inserisco sempre un’ambientazione musicale, per favorire la concentrazione. Dopo massimo quattro minuti dall’inizio dell’esperienza la mia opera individua uno stato potenziale che è unico, come è unica l’esperienza sensoriale dell’osservatore. Il visitatore ha portato in vita uno stato potenziale della mia opera che chiamo HITIMM, un’immagine ad altissima definizione, identificata da un ideogramma e da un codice alfanumerico. A questo punto l’HITIMM può diventare parte di un’esposizione dedicata o diventare altro. Qui entra in gioco la terza modalità con cui la mia opera può essere vissuta I lavori cromo-olografici.

Impermanence.
Impermanence nasce da un rendering video ad altissima definizione di una mia esperienza tramite la piattaforma The4thdimension, e può diventare un progetto distinto. Si presenta come uno schermo 4K inserito in un box di legno (Quantum box), una scatola magica portatile per un’esperienza sensoriale diretta, ma potrebbe anche essere una tela elettronica allocata in una cornice o proiettata su grandi superfici. Il flusso di immagini dura quasi 4 ore e si trasforma continuamente, 1600 trasformazioni al secondo su diversi livelli di profondità. Ti accorgi che si trasforma solo se la fissi almeno 20 secondi o ti distrai, perché avvengono migliaia di trasformazioni al secondo che tu non vedi ma percepisci. Partecipi ad un’esperienza neuroestetica in relazione profonda con l’opera. In opere come Judith: Floral Resilience e Growndwave, si entra in una sorta di ipnosi, di meditazione, dove la nostra mente crea delle immagini. È un meccanismo naturale che avviene durante il sogno nei processi di ipnagogia e ipnopompia, ovvero i momenti in cui entriamo o usciamo dal sogno, dove la mente costruisce una realtà alternativa sulla base di ricordi e di stimoli inconsci.
Lavori cromo-olografici
I lavori cromo-olografici permettono di rivivere l’esperienza quasi esattamente come si è svolta. L’HITIMM, infatti, è il risultato dell’esperienza di interazione con la mia opera e allo stesso tempo ne conserva tutte le trasformazioni. Quando viene illuminato da una luce RGBW variabile, rivela i passaggi di trasformazione dell’immagine così come sono avvenuti nell’interazione, perché è cromo-olografico. Questo ti fa capire la complessità della mia opera e ti rendi conto di quante trasformazioni strutturali subisce mentre muovi lo sguardo.