È in corso un profondo cambio generazionale nel mercato dell’arte, e in particolare nel mondo del collezionismo. I dati lo confermano: più del 30% dei nuovi acquirenti delle principali case d’asta internazionali nel 2024 appartiene alla generazione dei Millennial o addirittura alla Gen Z. E se una volta il collezionista era un industriale maturo con un importante patrimonio da investire, oggi assume i tratti di un giovane imprenditore tech, di un professionista della comunicazione, o più semplicemente di un curioso che si affaccia all’arte per passione, per desiderio di bellezza o per una forma di investimento consapevole.
Questo cambiamento è tanto estetico quanto culturale. I nuovi collezionisti acquistano in modo diverso, prediligono canali diretti e veloci, seguono gallerie e artisti su Instagram, navigano tra piattaforme online, leggono le informazioni su Artsy, Artnet e riviste digitali. Hanno budget spesso più contenuti – nella fascia tra i 5.000 e i 20.000 euro – ma una visione più chiara: vogliono autenticità, narrazione, ricerca. Acquistano opere che li rappresentano, che parlano della contemporaneità, che abbiano un potenziale culturale prima ancora che economico.
Si tratta di una generazione esigente, iper-connessa, con uno sguardo critico. A loro non interessa tanto il nome storico o il curriculum blasonato, ma il linguaggio, il messaggio e il valore simbolico dell’opera. Cercano artisti capaci di intercettare le tensioni del presente, che sappiano usare la materia come forma di pensiero. Non è un caso che si stia assistendo a una crescente attenzione verso pratiche multidisciplinari, verso i linguaggi dell’identità, del corpo, del post-coloniale.
Questo nuovo approccio ha delle conseguenze precise anche sul mercato. Le opere d’arte di medio e basso valore, secondo il report Deloitte 2024, hanno mostrato una maggiore resistenza rispetto alle fasce più alte. Le aste milionarie sono in calo, così come le performance degli artisti più inflazionati. Si rafforza invece il segmento delle opere under 20k, con una crescita costante di transazioni e una richiesta sempre più selettiva.
Un elemento da sottolineare è la consapevolezza del pubblico. Non si acquista più per status, ma per affinità. I nuovi collezionisti sono informati, leggono i testi critici, controllano i dati su Artfacts.net, si confrontano con altri collezionisti, partecipano a fiere, residenze, open studio. Vogliono vivere l’arte, conoscerne il contesto, visitare gli studi degli artisti. Il collezionismo diventa così un processo partecipativo, fatto di relazione, di ascolto, di fiducia.
Questa trasformazione si inserisce in uno scenario globale ancora più ampio: quello del più grande trasferimento di ricchezza della storia moderna. Secondo recenti stime, nei prossimi vent’anni oltre 80.000 miliardi di dollari verranno trasferiti in eredità dalle generazioni dei baby boomer alle nuove generazioni. Questo passaggio non riguarda solo patrimoni economici, ma anche patrimoni culturali, e modificherà profondamente il modo di collezionare, di investire, di vivere l’arte.
E non mancano i segnali sorprendenti di questa mutazione in corso. Nel novembre 2024, Sotheby’s New York ha venduto per oltre 1,1 milioni di dollari il dipinto A.I. God. Portrait of Alan Turing, realizzato da Ai-Da, il primo robot umanoide artista. L’opera, firmata “A” da Ai-Da, rappresenta un esempio emblematico di come il collezionismo contemporaneo si apra anche a ciò che è profondamente ultra-contemporaneo, abbracciando la produzione artistica generata da algoritmi e intelligenze artificiali. Un evento che dimostra quanto oggi i collezionisti siano attenti al nuovo, al sorprendente, al simbolico.
All’interno di questa nuova sensibilità collezionistica, alcuni artisti si stanno distinguendo per la forza della ricerca, la coerenza espressiva e la crescita sul mercato. Tra questi, la giapponese Etsu Egami (1994) lavora sul linguaggio e sulle barriere culturali, traducendo temi universali in una pittura intensa e riconoscibile. Ha esposto al WHAT Museum di Tokyo e all’Asian Art Museum di San Francisco, ed è presente in collezioni come Dior e He Art Museum.
L’americano Adam Handler (1986), nato a New York e legato anche all’Italia, costruisce un immaginario emotivo fatto di figure semplici, ma cariche di significato: sogni, solitudini, memorie. Il suo tratto immediato ha conquistato collezionisti dagli Stati Uniti all’Asia.
Dal continente africano segnalo Odinakachi Okoroafor (Nigeria, 1987), che riflette sull’identità nera e sulle stratificazioni culturali attraverso linee fitte come cicatrici, e Ibrahim Ballo (Mali, 1990), che unisce pittura e tessuto in opere dove il cotone diventa segno, materia, memoria. Entrambi raccontano storie personali e collettive con un linguaggio forte e contemporaneo.
L’Italia non è esclusa da questo processo. Anche nel nostro Paese stanno emergendo artisti che meritano attenzione per la qualità della loro ricerca e per la solidità del percorso. Tra i nomi che seguo con particolare interesse, segnalo Giulia Messina, Valentina Furian, Alessandro Giannì, l’italo-bosniaca Adelisa Selimbašić, Luisa Badino e Roberto de Pinto: autori capaci di costruire un linguaggio riconoscibile, coerente, attento tanto alla materia quanto al contesto culturale.
Chi colleziona oggi non cerca più solo un’opera, ma un’esperienza. Vuole sentirsi parte di un ecosistema culturale, vivere l’opera come parte di sé. E in questo scenario, l’arte non è più solo da appendere, ma da abitare. Da condividere. Da coltivare
Mattia Masciullo di Trium Gallery