“E che cos’è un bacio?”, si chiedeva il poeta Edmond Rostand nel Cyrano. “Un apostrofo rosa tra le parole t’amo, un segreto detto sulla bocca”. Ma, come spesso accade, un simbolo può essere manipolato al fine di farne virare il significato profondo: si pensi alla strumentalizzazione del segno della svastica, simbolo solare euroasiatico che, diversamente orientato, è diventato il segno supremo del male del Novecento. Così accade anche oggi con il bacio: che, in questi mesi così drammatici per la popolazione palestinese della striscia di Gaza, brutalmente massacrata dall’esercito israeliano, senza alcuna distinzione tra miliziani di Hamas e giovani, donne e persino bambini inermi, viene oggi rovesciato e diventa un violento atto d’accusa per la politica criminale dell’attuale governo israeliano di Benjamin Netanyahu.
È accaduto nelle strade di Roma, sui muri del quartiere Monteverde, nelle adiacenze del Liceo Manara, in questo 2025, anno in cui l’orientamento dei vettori internazionali oscilla come una bussola incapace di riconoscere i poli magnetici del bene e del male. Autrice, Laika, street artist romana, che si fa fotografare sempre mascherata e dall’identità rigorosamente ignota, che definisce se stessa “attacchina”, che, nella notte tra 25 e il 26 maggio, ha lasciato il proprio segno con un intervento murale dal titolo shock – La soluzione finale –, che rimanda chiaramente all’accusa, sempre più generalizzata, di genocidio (onta suprema per un popolo come quello ebraico, che ha subito appunto il genocidio ad opera dei nazisti) nei confronti della popolazione palestinese.
Ma in cosa consisteva dunque quest’opera dal titolo tanto scottante? L’osservatore si trovava dinnanzi a un bacio che coinvolgeva non solo le bocche ma gli interi corpi di due amanti che, pur dovendo apparire teoricamente e storicamente in antitesi, venivano invece affiancati in una similitudine violentissima: Adolf Hitler e Benjamin Netanyahu. Il dittatore tedesco teneva stretto il Primo Ministro israeliano e nel farlo lasciava una scia, per meglio dire una colata, rosso vivo sulla spalla dello stesso. Gli iconici baffi del cancelliere tedesco si proiettavano, come in un’ombra dal sapore profetico e polemico, sul volto del suo compagno. La similarità, evocata con sottile intelligenza, era ribadita dalla continuità delle linee tra le capigliature dei due. L’opera, inevitabilmente destinata e scuscitare discussioni e polemiche, non è durata che un giorno: in meno di 24 ore era già stata strappata.
Davanti ad un’opera tanto potente e provocatoria, la mera critica artistica non basta a restituirne la forza disturbante. Sulla base di tale consapevolezza abbiamo pensato di contattare l’artista e di intervistarla, per meglio comprendere le dinamiche, il pensiero e le aspettative che si celano dietro ad un’opera tanto controversa. Ci ha risposto sempre indossando la sua iconica maschera e con una funzione per alterare la voce, al fine di mantenere l’anonomato, ma questo le non ha impedito di raccontarsi in maniera estremamente libera e spontanea.
Laika, ogni tuo murale è stato concepito rispetto a collocazioni specifiche, come nel caso di quello, particolarissimo, relativo alla tragedia di Cutro (allorché, nel febbraio 2023, un’imbarcazione con circa 200 migranti a bordo, tra i quali molti bambini, si è spezzata in due a pochi metri dalla riva di Steccato di Cutro, in Calabria, causando la morte di 94 persone, ndr). Alla luce di questo, vorrei partire da una domanda: perché l’opera “La soluzione finale” si trova nei pressi di un Liceo?
La collocazione dell’opera non è stata casuale. Le adiacenze al Liceo Manara sono state scelte in quanto lo scorso febbraio un gruppo di estrema destra di stampo sionista ha condotto un assalto notturno vandalizzando i muri della scuola in evidente contrasto con il suo collettivo antifascista. Il contenuto del murale, ovviamente esteso a un pubblico più ampio, ha in sé un messaggio molto specifico rivolto alle persone che hanno, presumibilmente, attaccato anche i miei interventi sul tema della Resistenza.

Potresti concepire, ad oggi, un tuo lavoro simile in Palestina ?
Un intervento specifico nella Striscia di Gaza, ad oggi, sarebbe impraticabile dal punto di vista della logistica e della sicurezza sia come singolo che come gruppo. Nella possibilità, ad oggi utopica, di poterlo fare ci sono due aspetti da considerare: un intervento nella Striscia sarebbe un bel modo per attirare l’attenzione nei luoghi della tragedia, benchè si faccia quotidianamente e la possibilità di generare un impatto importante anche oltre la visione politica.
Il titolo, sicuramente d’impatto, ha una sua storia che va oltre la provocazione per evocare una comunicazione più sottile?
Il titolo, che ha una buona percentuale di provocazione, nasce dalla deriva intrapresa dalle strategie di Israele nel voler annientare un popolo attraverso un percorso che precede lo stesso Netanyahu. L’obiettivo è chiaro: conquistare sempre più terra giocando una partita a scacchi in cui la nascita e la crescita di gruppi estremisti e di resistenza hanno realizzato la strategia del dividi et impera così che una risoluzione non fosse mai possibile. Soluzione finale perché Gaza è stata rasa al suolo, è stata annientata in ogni sua parte presentandosi, oggi, come un cumulo di macerie teatro di massacri e carestia. Ci troviamo davanti ad una pulizia etnica in piena regola, un genocidio in streaming che l’Occidente non vuole vedere.

Parlando di un altro tuo lavoro, quello su Ilaria Salis, hai dichiarato che il suo caso è solo la punta dell’iceberg di una politica, quella ungherese, che porta avanti pratiche ai limiti del democratico. Nel tuo ultimo lavoro qual è il livello di consapevolezza rispetto alla situazione nella Striscia?
La strategia di annientamento è un modus operandi che precede le politica di Netanyahu. Ora l’attenzione è su di lui, si è presa coscienza del culmine di una politica aggressiva che ha lavorato per annientare un intero popolo. C’è la falsa credenza che eliminando il leader del governo israeliano l’attuale politica cesserà.
E perchè proprio un bacio? Quali sono i rifermenti che ti hanno mossa verso un’immagine archetipica così potente?
È un bacio, si. Non è un bacio passionale, è un abbraccio tra sodali che si stringono nell’atto di sancire un patto tra due criminali dove chi viene dal passato si congratula con il leader del presente in un accostamento del quale si sente sempre più parlare. Ancora, nel 2025, la Street Art deve raffigurare Hitler per avere un forte impatto sull’opinione pubblica. È un patto, è cameratismo, un unione d’intenti e di modus operandi. Oltre a facili ribaltamenti di prospettiva dove la vittima del passato sarebbe diventata il carnefice del presente non mi trovo d’accordo nel cedere a generalizzazioni che non tengono conto della grossa fetta del popolo ebraico minacciato, anch’esso, da queste stesse politiche. I riferimenti, nel mondo dell’arte, sono vari e spaziano da Klimt ad Hayez e sono stati resi noti nella consapevolezza che la citazione sia cosa buona e giusta.

Rispetto al vandalismo che la tua opera subisce, oggi come in passato, qual è la tua posizione?
Sicuramente gli interventi, anche di rimozione o simili, sono un proseguio, un’evoluzione dell’opera stessa. Dal momento in cui ho deciso di realizzare poster capita spesso che vengano rimossi, danneggiati o addirittura portati via da chi, anche con un certo orgoglio, mi mostra il suo bottino sui social. Nonostante la rimozione, l’impatto dell’opera è già avvenuto. Spesso mi viene riportata la notizia della rimozione di un mio pezzo ma ciò non mi sconvolge perché è un proseguio, è parte della performance che si origina dall’idea, dalla scrematura, al blitz fino all’eventuale rimozione. L’opera viene lasciata al pubblico, alla galleria d’arte della strada che reputo la più onesta.
Qual è il tema che ad oggi la Street Art dovrebbe trattare ma che non è ancora stato affrontato?
La cosa che, e lo dico come una critica anche a me stessa, più di tutte si dovrebbe realizzare e non è ancora stata fatta è la denuncia del genocidio in atto in Congo. L’Africa è un tema del quale l’Europa si interessa molto poco. Non ho ancora parlato del tema del Congo e medito su tutto ciò per poter intervenire nel momento giusto.