Durante le mie vacanze in Sardegna ho fatto tappa a Oristano per visitare Hope Around – New York Graffiti al Foro Boario, la mostra organizzata da Dromos Festival che per la prima volta espone nella sua interezza la straordinaria collezione privata di Pietro Molinas Balata: un insieme unico di fotografie ed opere su tela realizzate dai pionieri del writing newyorkese, pezzi originali dell’epoca d’oro del graffiti writing.
La forza della mostra sta anche in questo carattere inedito: la collezione, nel suo complesso, non era mai stata presentata al pubblico e la sua stessa esistenza era rimasta sconosciuta persino agli addetti ai lavori. Io stessa, che mi occupo da anni di arte urbana, street art e graffiti writing, non ne avevo mai sentito parlare, e trovarmi di fronte a questi pezzi rari mi ha offerto uno sguardo nuovo sulla storia del movimento.

Pietro Molinas Balata è stato definito da Salvatore Garau “il Collezionista per eccellenza”. Ha dedicato la vita all’arte contemporanea, costruendo in silenzio una collezione che oggi sembra quasi un’utopia: non un accumulo di opere con fini speculativi, come spesso accade soprattutto negli ultimi decenni, ma un percorso guidato dal piacere di entrare nel mondo poetico degli artisti che sentiva più vicini. Per oltre quarantacinque anni il suo gusto e il suo intuito lo hanno portato a riconoscere, tra i primi in Italia, la forza innovativa dei graffiti, allora liquidati come semplice vandalismo.
Assieme a lui, pochissime altre persone in Italia avevano intuito la portata di questa disciplina che, ancora oggi, a mezzo secolo di distanza, continua a essere protagonista nell’arte contemporanea. Tra questi pionieri ci furono i galleristi della mostra The Fabulous Five alla Galleria La Medusa di Roma (1979), i curatori della Biennale d’Arte di Venezia (che nel 1984 invitò A-One), ma soprattutto la professoressa e critica d’arte Francesca Alinovi, che già nel 1980 scriveva di questa dirompente forma artistica.
È proprio alla ricerca e al lavoro di Alinovi che si ispira questa mostra, curata da Fabiola Naldi, a sua volta ricercatrice e professoressa universitaria, che da anni porta avanti l’indagine avviata da Francesca Alinovi sul mondo del graffiti writing.

Fabiola Naldi: <Questa mostra rappresenta un ulteriore passo nella mia indagine, condotta con rigore esclusivamente scientifico, su ciò che Francesca Alinovi ha realmente realizzato e rappresentato come visione intuitiva e incredibilmente avanguardista all’interno di questa disciplina a partire proprio dai suoi due testi pubblicati allora su Flash Art, “Arte di Frontiera” e “Lo slang del Duemila.”
Arte di Frontiera, come tutti sappiamo, divenne poi una mostra, realizzata postuma nel 1984, a meno di un anno dalla morte di Francesca Alinovi. Il sottotitolo di quella mostra era “New York Graffiti”, ed è stata una delle prime mostre museali europee sul writing americano.
“Hope Around – New York Graffiti” utilizza lo stesso sottotitolo con un titolo però differente perché il festival all’interno del quale si è sviluppata questa mostra ruota attorno a una parola, un concetto, una visione, e quest’anno la parola era “speranza”. Inoltre, “Hope” è un termine particolarmente ricorrente nei pezzi realizzati dai writers nel corso degli ultimi cinquant’anni. Da qui l’idea di “Hope Around”, cui ho voluto aggiungere “New York Graffiti”: sia perché gli artisti in mostra sono tutti nati a New York, dai pionieri della prima generazione fino a figure più giovani, sia come tributo a Francesca Alinovi.
In questo senso, utilizzare il sottotitolo “New York Graffiti” va nella stessa direzione della mostra che lo scorso anno ho curato al MAMbo, per il quarantennale di Arte di Frontiera: continuare a riconoscere e a portare avanti il pensiero critico e scientifico di Francesca Alinovi”>.

Sono proprio il rigore e la completezza storica di questa mostra che mi hanno davvero entusiasmata. Non una raccolta raffazzonata di tele spray nate per “fare cassa” su un movimento sempre più “cool”, ma opere autentiche dell’epoca d’oro del graffiti writing, realizzate dai pionieri stessi.
Avendo lavorato a lungo in ambito museale, in particolare in un museo dedicato a street art e graffiti, mi sono spesso trovata a dover spiegare — o quasi giustificare — la presenza al chiuso di una pratica nata in strada, con dinamiche lontane anni luce da quelle dei musei. Non rischia forse di sembrare una forzatura, come osservare un animale selvaggio dietro le sbarre di uno zoo?
Eppure, come dimostrano le opere in mostra, già negli anni ’70 molti dei primi writer dipingevano anche su tela, esponendo in galleria o vendendo direttamente ai collezionisti. Due dimensioni diverse — la strada e lo spazio espositivo — certo, ma che hanno sempre convissuto. Fin dall’inizio l’aerosol art è entrata nelle gallerie d’arte prima e nei musei dopo senza chiedere permesso: dipingendo fuori dai margini, infrangendo regole, trovando da sé la propria strada.
Le opere originali oggi al Foro Boario restituiscono proprio questa urgenza e al tempo stesso raccontano un periodo storico in cui gli stessi pionieri newyorkesi hanno trascinato galleristi, collezionisti e curatori oltre le pareti bianche dei musei, offrendo una testimonianza diretta della forza del movimento. In questo senso, credo che la vastità e la ricchezza della collezione in mostra rappresentino un’occasione preziosa per rileggere il dualismo tra strada e galleria, attraverso eccellenti lavori su tela degli esponenti del primo periodo eroico del graffiti writing newyorkese.

Parlando con Fabiola Naldi di quanto sia sorprendente la collezione costruita con tanta passione da Pietro Molinas Balata, mi confida che anche lei, inizialmente scettica, si è lasciata convincere dall’unicità di questo insieme di opere. Come curatrice e storica dell’arte urbana, ha riconosciuto in quella collezione una base solida su cui costruire un percorso espositivo capace di restituire al pubblico l’autenticità del primo periodo del graffiti writing.
Fabiola Naldi: <Inizialmente, quando sono stata contattata da Salvatore Corona, l’ideatore del Dromos Festival, ero molto scettica. Ho sempre avuto un rapporto conflittuale con la disciplina del writing all’interno dei musei sotto forma di tela dipinta, soprattutto a causa delle derive un po’ più strumentali e scontate che ha preso negli ultimi anni. Ma Salvatore ha insistito e mi ha chiesto di vedere la collezione prima di scartare l’idea. Così ho fatto. E quando mi sono trovata davanti a questa collezione così rigorosa sono rimasta senza parole.

Di fronte a me c’erano gli interventi delle prime due generazioni di writing newyorkese arrivati in Europa grazie alle prime mostre: penso alla mostra romana del 1979 di Fab 5 Freddy e Lee Quiñones, alla presenza di A-One alla Biennale d’arte di Venezia nel 1984, o ancora la presenza di Delta-2 e Ero a quella sorta di “chiamata alle armi” lanciata da Phase 2 e Rammellzee a Quattordio. Nel momento stesso in cui ho visto quelle opere originali, realizzate all’epoca (tra cui un’opera su tela di Phase 2 del 1984, un inedito di Rammellzee del 1986, uno strepitoso dipinto di Zephyr del 1982, un’opera del 1980 di Duster), lavori selezionati con cura, già in qualche modo “collezionati” da lui perché scelti e intercettati nel tempo, non opere commissionate, ma messe in vendita direttamente dagli artisti durante il periodo d’oro di quelle due generazioni di pionieri del writing — ho capito che il mio scetticismo iniziale si stava trasformando. Da lì è nata la decisione di portare avanti questa mostra che è certamente frutto di decenni di studio, ma che è anche frutto dell’incontro con un uomo appassionato e convinto delle proprie scelte.>>
Le sue parole restituiscono bene lo spirito con cui questa mostra è stata concepita: rigore scientifico, memoria storica e passione personale si intrecciano in un percorso che riporta alla luce l’autenticità del primo periodo del graffiti writing.
Per me è stata un’occasione unica per incontrare da vicino le radici di un movimento che ha cambiato la storia dell’arte contemporanea. Se passate da Oristano, non lasciatevi sfuggire Hope Around – New York Graffiti: la mostra rimane aperta al Foro Boario fino al 25 ottobre.




Credo che davanti a tanta storia cultura e arte per chi vive nei musei dopo aver studiato tanto non ci voglia molto tempo per farsi convincere ad affiancare un grande collezionista (Artista) come Pietro molinas Balata, a mio parere il vero artista e proprio lui entrato nella mente degli artisti cosa non facile ,in fine sapere che in Sardegna e in Italia abbiamo uno dei collezionisti più importanti può solo farci onore sono sicuro che il collezionista ci stupirà ancora con tante sorprese Grazie di averci aperto un nuovo mondo