Georgios Xenos: il paesaggio mutevole della contemporaneità

Fino al 1 giugno 2025, gli spazi del Centro delle Arti del Comune di Atene – un tempo sede dell’EAT/ESA, tristemente nota per essere stata durante la dittatura dei colonnelli teatro di detenzione e interrogatori – ospitano la nuova mostra di Georgios Xenos, figura di rilievo dell’arte greca contemporanea.

La mostra, intitolata “Confusione”, si sviluppa attraverso tre installazioni – Confusione, Diodo e Pausa – che delineano un itinerario attraverso le tensioni e le contraddizioni del presente. Il percorso espositivo non si limita a suggerire un’interpretazione visiva della complessità contemporanea, ma mette in scena – in senso quasi architettonico – un sistema di relazioni percettive e concettuali che riflettono la condizione fluida dell’identità umana e della società. Le opere dialogano con il tema della transizione: quella dei popoli, delle informazioni, delle strutture simboliche che cedono il passo al digitale e all’intelligenza artificiale. Un movimento costante, denso di incertezza, che Xenos restituisce con una grammatica visiva scarna ma eloquente, fatta di corpi assenti, tracce metalliche e silenzi sospesi.

Abbiamo incontrato l’artista nel suo atelier di Kerameikos, quartiere di Atene stratificato e irregolare, dove convivono testimonianze archeologiche, edifici modernisti e architetture più recenti. In questo contesto eterogeneo, lo studio-casa di Georgios Xenos si impone per la sua autonomia stilistica e concettuale, riflettendo quella stessa libertà di pensiero che attraversa tutta la sua opera.

Credits Stelios Skopelitis

Maestro Xenos, partiamo dalla sua ultima mostra “ΣΥΓΧΥΣΗ” (“Confusione”) attualmente in corso al Centro delle Arti del Comune di Atene. Come nasce questo progetto? Perché ha scelto questo titolo e in che modo si traduce nei lavori presentati?

Viviamo nell’epoca più importante della civiltà umana. Stiamo attraversando un passaggio storico, e quando ciò accade si manifesta una sorta di sindrome “babilonica” fatta di incoerenza, disorientamento, fenomeni naturali estremi e contraddizioni culturali. Dove si scontrano opinioni, ordine e disordine, si genera l’estetica della confusione, da cui può scaturire il nuovo – come quando una traccia si imprime in modo istintivo su una superficie bianca. L’informazione si confronta con l’esperienza, e il cervello, come un grande processore, rielabora tutto modificando i dati di partenza.

Da questa premessa nasce l’installazione ΔΙΕΡΧΟΜΕΝΟΙ (Passeggeri in transito), intesa come riflessione sul movimento globale di popolazioni, sulla circolazione dei dati, ma anche sul disorientamento percettivo. Il polittico ΦΩΝΑΣΚΟΥΝΤΩΝ (I chiamanti) invece dà forma a gesti di sorpresa, disaccordo, sospensione. Il titolo “Confusione” rispecchia con precisione l’identità di tutte le opere presenti, articolate nelle tre sezioni della mostra – “Confusione”, “Diodo” e “Pausa” – che costruiscono un percorso nella complessità del nostro tempo.

So che è prevista anche una nuova esposizione sull’isola di Mytilene, nel castello medievale, il più grande del Mediterraneo. Ma lei aveva già lavorato in quel contesto in passato. In che modo si collega questa nuova proposta?

Tutto inizia sempre con l’ascolto – il vedere – il sentire. Così, nel 2016, in seguito ai tragici naufragi legati al flusso migratorio nel Mar Egeo, e in particolare sull’isola di Mytilene, ho realizzato una mostra in tre spazi differenti, intitolata Floating the Aegean – A Visual Requiem for the Mediterranean. L’esposizione si è svolta al Museo Archeologico di Mitilene, nel Castello e nell’Hamam ottomano (Charsi Hamam). Oggi è in discussione una nuova mostra da realizzare nello stesso castello, ma al momento non posso anticipare nulla di più.

Nel corso degli anni sono stati realizzati diversi documentari sul suo lavoro. Di che cosa trattano esattamente?

Uno di questi, della durata di 45 minuti, è stato commissionato dall’Università di Harvard nel 2020, in occasione delle mie mostre in Grecia e all’estero, tenutesi in musei e siti archeologici. Purtroppo, a causa della pandemia, la presentazione è avvenuta in modalità digitale. Il documentario affronta il rapporto tra arte contemporanea e patrimonio antico, un tema che considero essenziale. Le mie opere ruotano attorno alla traccia, all’immagine, alla scrittura, alla memoria culturale. Studio da anni l’evoluzione della traccia in immagine e della scrittura come forma di registrazione della coscienza collettiva. Attualmente sono in fase di montaggio due nuovi documentari: uno dedicato all’allestimento delle mie mostre e alle idee che le generano, l’altro, più intimo, ripercorre la mia vita.

Pausa dettaglio multipannello composto da 220 opere acrilico su carta 100X70 cm ciascuna 2006

Parliamo ora dell’opera ΔΙΕΡΧΟΜΕΝΟΙ (Passeggeri in transito) e delle “Sette Porte”. Di che cosa si tratta esattamente? E quale significato rivestono nel suo lavoro?

ΔΙΕΡΧΟΜΕΝΟΙ è una serie di figure slanciate, alte due metri, sagome umane in ferro che formano un’unità complessa composta da 120 elementi. Ogni figura rappresenta una traccia dell’esistenza umana. Queste sagome, prive di identità individuale, assumono un valore simbolico e universale: veicolano l’ansia dell’essere umano per la libertà, la resistenza alla tirannia, la forza di restare in piedi. Sono un’espressione plastica della condizione umana. L’assenza di volti o dettagli specifici permette a ogni osservatore di proiettare in esse volti della memoria, figure storiche, simboli collettivi.

Attraverso il vuoto del metallo si scorge il paesaggio urbano, creando un dialogo tra opera e contesto. Le Sette Porte sono elementi architettonici in ferro che richiamano il mito tebano, ma anche il concetto di passaggio, di transito e di protezione delle città. Queste installazioni sono state presentate in diversi luoghi: dal Museo Epigrafico di Atene al sito archeologico di Delfi, dal Piccolo Teatro dell’Antica Epidauro alla Fondazione Stavros Niarchos.

So che la musica è parte integrante del suo quotidiano, pur non avendo ricevuto una formazione specifica. In che modo si inserisce nella sua pratica artistica?

Ho imparato a utilizzare strumenti in modo autodidatta. Creo suoni ripetitivi, li registro, li trasformo in loop. Ogni mattina, prima di iniziare a lavorare, compongo una breve sequenza sonora che mi accompagna per tutta la giornata. Alcuni di questi brani sono stati inseriti come elementi sonori nelle mie installazioni. Penso che ogni artista debba trovare il modo di registrare il proprio potenziale, anche in forma sonora o virtuale. È un gesto rituale, una forma di presa di coscienza.

Confusione dettaglio multipannello composto da 60 opere acrilico su carta 100X70 cm ciascuna 2025

Nel corso della sua carriera ha incontrato e lavorato con artisti internazionali di rilievo. Ci può raccontare qualche episodio?

Ho vissuto a lungo a Parigi e a Berlino. Parigi mi ha formato: mi ha trasmesso valori estetici, conoscenze, apertura. Berlino, invece, mi ha costretto a confrontarmi con le idee in profondità, a scavare nella materia concettuale. […] Alla Galleria Jean Bernier, dove ho esposto per la prima volta ad Atene nel 1986, ho incontrato artisti come Richard Serra e Jannis Kounellis. A Londra ho conosciuto Francis Bacon, persona di straordinaria gentilezza. A Wuppertal Tony Cragg, a Berlino Max Kunze – all’epoca direttore del Museo di Pergamo – che organizzò una mia mostra nel 1992. In Grecia ho avuto una lunga amicizia con Vlassis Kaniaris, e molti scambi con la scultrice Chryssa, con cui ho condiviso lunghe conversazioni sull’arte.

Vorrei concludere chiedendole una frase che sente sua. Un pensiero che sintetizzi la sua visione.

“La civiltà dell’uomo si fonda sui MOVIMENTI: quello dei popoli, quello dell’informazione. È attraverso questi spostamenti che si produce l’alchimia, che nascono le cose.”

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