Dal telaio al sapere condiviso: l’Università di Padova sperimenta la didattica per adulti nei musei

Nell’ambito della programmazione dei vari musei è effettivamente raro trovare abbinati i termini “laboratorio” e “pubblico adulto”, quando invece questo tipo di appuntamenti è molto apprezzato ad ogni età e consente di moltiplicare le possibilità di conoscenza, di creare comunità e di sostenere un progetto educativo in cui il museo è inteso come luogo d’incontro, interazione, dialogo e connessione tra i cittadini

Questo è quanto il Dipartimento dei Beni Culturali e il Museo di Scienze archeologiche e d’Arte dell’Università degli Studi di Padova, nell’ambito specifico della “Terza Missione” (DL 19/2012 e DM 47/2013), si sono posti come obiettivo, potenziando l’interazione con la società civile attraverso la valorizzazione della didattica e dei progetti di ricerca, al fine di aumentare il benessere della società attraverso eventi e iniziative di formazione e divulgazione scientifica

È interessante che non ci si limiti ad attingere a teorie e pratiche in modo generico, ma si conduca una vera e propria sperimentazione sul materiale di studio, ideando una pratica pedagogica basata sull’esperienza concreta e quindi sull’idea che l’apprendimento sia per tutti un processo attivo e non una trasmissione di sapere preconfezionato.

Nell’ambito dell’International Winter school “Textile makes the world go round: Textile archaelogy for researcher, conservators and curators” (Università di Padova, progetto “Shaping World-Class University” e Dipartimento dei Beni Culturali – fondi di Terza Missione) ad esempio è stata proposta una “sfilata archeologica” Passerella nel Passato in cui, studenti, tecnici e docenti del Dipartimento dei Beni Culturali hanno indossato una collezione di prototipi di abiti e accessori realizzati dalla dottoressa Karina Grömer del Museo di Storia Naturale di Vienna, che ha illustrato le fonti archeologiche e iconografiche alla base della ricostruzione di questi costumi che vanno dalla preistoria al periodo romano, al fine di mostrare come l’abbigliamento si sia evoluto da una funzione utilitarista fino a diventare un’espressione di arte, status e personalità. 

Alcuni oggetti del Museo sono poi invece stati d’ispirazione per una serie di speciali progetti didattici e scientifici curati dai professori Margarita Gleba e Guido Furlan del Dipartimento dei Beni Culturali, con la collaborazione di Alessandra Menegazzi del Centro di Ateneo per i Musei che ha visto coinvolte discipline diverse, dall’educazione all’economia, dalla storia alla moda.

A partire dalle piccole fusarole fittili, provenienti da Este (PD), risalenti al 525-450 a.C., usate nel processo della filatura per rendere regolare e continua la rotazione del fuso, e dai pesi troncopiramidali e a ferro di cavallo, risalenti al IV/III a.C., utili a tenere in tensione i fili dell’ordito, provenienti dalla Grecia e da Taranto, esposti rispettivamente nella saletta delle Collezioni greche e nella Gipsoteca del Museo di Scienze archeologiche e d’Arte, è stato ideato uno speciale laboratorio, intitolato La tela di Penelope.

Credits:  @Margarita Gleba

Ogni partecipante è stato accompagnato in un percorso che lo ha portato a conoscere – attraverso l’agire – la pratica dell’antica tessitura: in una prima fase si è lavorato individualmente su piccoli telaietti manuali, per poi invece lavorare a turno su una replica 1:1 di un telaio verticale a pesi, impiegato in Europa sin dai tempi preistorici e protostorici. In questo modo si è potuto rivivere tempi, insidie e tecniche di questa antichissima arte, scoprendo le parti del telaio e la loro funzione, le modalità di tessitura, i diversi tipi di intrecci e di prodotti, i lunghi ritmi e apprezzando contestualmente i reperti tessili del passato

La copia creata non è da intendersi come mera riproduzione passiva, ma come occasione pratica di costruzione del sapere, dove la conoscenza permette di sperimentare in prima persona, acquisire chiavi per comprendere il reale e arricchire il proprio bagaglio immaginativo attraverso un fare concreto dalle enormi potenzialità anche ai fini dell’accessibilità e dell’inclusione sociale.

Si è partiti quindi dall’osservazione sia del tessuto che dello strumento, ma è grazie all’avvicinamento fisico e alla manipolazione attraverso il telaio che si è riusciti ad individuare le qualità della materia e le sue possibilità. Avendo sperimentato tutto questo nel laboratorio è stato dunque possibile acquisire una maggiore sensibilità, che ha consentito di apprezzare meglio i reperti proposti perché è stato possibile comprenderne la funzione, la necessità e il genio che li ha ideati per facilitare la produzione

Credits:  @Margarita Gleba

Sotto il comune denominatore della sostenibilità questa attività è stata abbinata ad un’esposizione didattica intitolata: Non si butta via niente. Economie circolari nel mondo antico, che ha presentato esempi di riuso e riciclo dei tessuti nel mondo romano e preromano, dove si è scoperto che oltre alle ceramiche, ai vetri e ad altri materiali, anche gli stracci venivano reimpiegati e usati ad esempio nel calafataggio utile all’impermeabilizzazione degli scafi delle imbarcazioni. 

Questo tipo di laboratori ha riscosso un grande successo ed è stato presentato anche nell’ambito del festival della cultura classica e delle letterature antiche Antica.mente come proposta inclusiva per le scuole primarie e secondarie di primo grado.

Tali iniziative di partecipazione che prevedono il coinvolgimento dal basso, la collaborazione tra i saperi, l’apertura all’inesplorato e la diffusione di pratiche che mettono insieme le conoscenze acquisite e quelle derivanti dalla vita quotidiana, sono auspicabili per tutti i musei e si pongono anche in un’ottica di lifelong learning, rendendo il sapere accattivante e commisurato alle esigenze di conoscenza e condivisione di ogni persona, migliorando sensibilmente la qualità della vita del singolo e della comunità. 

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