Tremate, tremate l’occultismo è tornato, sulla scia del centenario del Surrealismo (1924-2024), dopo la straordinaria mostra dedicata a Leonr Fini (1907-1996), Palazzo Reale a Milano ospita la prima esauriente retrospettiva dell’amica Leonora Carrington (Clayton-le-Woods, Lancashire, 1917- Città del Messico, 2011) e non rivale, nonostante l’amore condiviso per Max Ernst. Entrambe sono spiriti liberi, donne determinate che hanno seguito solo le loro vocazioni e passioni, contro tutto e tutti hanno scelto di essere artiste indipendenti in tempi a loro ostili, apolidi, colte e fedeli a sé stesse. Fini coltiva il culto della personalità, è diva trasformista-performer, ‘strega’ magnetica dagli occhi di gatto, attratta al Manierismo di Agnolo Bronzino, mentre Carrington, pittrice e scenografa è più introspettiva, spiritualista, lieve, eterea e materna.
Fin dall’infanzia è attratta dalla letteratura fantasy e dalle storie celtiche che le raccontava la madre irlandese. Chiusa nel suo isolamento, affetta da dislessia, coltiva un gusto personale per l’onirico, la mitologia, il fantastico e in seguito a un viaggio a Firenze per continuare la sua istruzione presso l’accademia d’Arte Miss Penrose, è folgorata dal Tardo Gotico, da Giorgio Martini, Giovanni di Paolo Reuccellai, Sassetta, Paolo Uccello, Hieronymus Bosch, e dal primo Rinascimento. Le due somme protagoniste dell’arte del Novecento in comune hanno dimensioni surreali, l’amore per i gatti, l’occultismo, l’esoterismo, la conoscenza della storia dell’arte e della magia, della letteratura fantastica, e della libertà. Le loro opere incrociano le tematiche del Surrealismo, come la ricerca nell’inconscio, l’Eros, la componente fantastica ed esoterica, con opere in bilico sogno e allucinazione. Carrington inventa un mondo fantastico a partire dal quaderno infantile Animals of a Different Plaint, in cui intreccia scienza e immaginazione. Nel 1936, in occasione della prima esposizione surrealista a Londra, entra in contatto con il gruppo surrealista e conosce Max Ernst, ed è amore a prima vista. Questa relazione provoca la rottura del rapporto con il padre, sempre contro la sua vocazione artistica, non adatta a una ragazza dell’alta società.

Sorrellanza tra artiste è possibile?
Le sue opere sono trasposizioni di una letteratura visiva, narrazioni di viaggi dentro l’universo fantastico di un’artista inafferrabile, con figure femminili dall’identità biologica e sessuale incerta, in cui convivono tratti umani e animali; figure solitarie che vivono al di fuori del contesto sociale preferendo la compagnia degli animali a quella degli uomini. Carrington elabora un linguaggio soggettivo e collettivo insieme attraverso simboli universali, fondato sulla decostruzione delle categorie convenzionali dell’identità, genere, ruolo sociale, umano/animale, donna/artista, madre/amante. L’artista ribelle dopo essere stata espulsa da diversi collegi cattolici, intraprende il viaggio alla ricerca di sé stessa, prima emarginata, poi emigrata, esiliata, madre e artista; è una esploratrice fisica e metaforica dentro il mondo esoterico che s’inventa molteplici identità attraverso l’arte: universi immaginifici in cui sonda credenze arcane e rifiuta di essere costretta entro categorie tradizionali.
Fin dall’infanzia è affascinata da donne potenti, dotate di poteri occulti e custodi di conoscenze enigmatiche, figure mitologiche capaci di generare una sorta di cosmologia al femminile in cui Morgana è sempre più forte del Mago Merlino. Le sue creature ibride convivono con gli esseri umani e portano scompiglio e cambiamento, affrontano tematiche contemporanee, come la metamorfosi, il corpo, l’ibrido uomo/animale, anticipando le identità artificiali nell’epoca dell’epoca digitale. Scrive Carrington: “Se una vera identità individuale esiste davvero, mi piacerebbe trovarla, perché proprio come la verità-nel momento in cui la scopri, è già svanita. Così cerco di ridurre me stessa ai fatti. Per ora sono femmina umana che invecchia; presto sarò anziana e poi morirò. Questo è tutto ciò che so, riguardo ai fatti”.

La mostra a Palazzo Reale
La mostra a Palazzo Reale a Milano “Leonora Carrington” a cura di Tere Arcq e Carlos Martin (catalogo prodotto da Palazzo Reale e pubblicato da Electa), è parte dell’Olimpiade Culturale Milano Cortina 2026, è incentrata sul legame profondo dell’artista britannica con l’Italia, sulla componente letteraria, sull’immaginazione narrativa e la predisposizione a mescolare mitologia con aspetti esoterici e dell’astrologia e la contemporaneità di una autrice complessa, attraverso 65 dipinti, iniziatici a partire dalla serie Sister of the Moon (1932), acquarelli realizzati a soli quindici anni che rimandano all’immaginario della sua infanzia, in cui trionfano donne magnetiche dotate di poteri occulti, custodi di conoscenze enigmatiche. L’autrice di un mondo visionario nasce dall’elaborazione di un mix suggestivo tra letteratura vittoriana, fiabe celtiche, mitologia, esoterismo, astrologia, tarocchi e alchimia. In questa carrellata immaginifica, troviamo un paio di opere dedicate a Max Ernst, Divinità e Il medico spagnolo entrambi del 1940, l’uomo già cinquantenne che ha amato a vent’anni, con il quale ha vissuto a Saint-Martin-d’Arèche, un villaggio dell’Alverina (Francia) in una casa arredata e dipinta a quattro mani, concepita come un’opera d’arte totale, dove Leonora scrive i primi racconti in un francese sgrammaticato, che diverte gli amici surrealisti. Nel 1937 scrive il suo primo racconto, La maison de la peur, che l’anno successivo verrà pubblicato, arricchito da una introduzione e da sette collage di Ernst. Sprofondiamo nel suo mondo esoterico osservando disegni e acquarelli, e tra le altre fotografie che la immortalano con artisti durante i suoi viaggi, è tenerissima in quelle accanto ai suoi figli Pablo e Gabriel Weiz. In particolare sorprendono alcuni scatti in cui la vediamo alle prese con un rituale necrofilo, nuda di spalle, in rigoroso bianco e nero, scattate dalla fotografa e amica messicana Kati Horna (1912-2000) tratti dalla serie Oda e La Necrofilia.

Un mondo esoterico danza dentro di lei, e noi spettatori la seguiamo nella ricerca di una identità femminile che ripudia il mito patriarcale, unica e riconoscibile per la sua capacità di dipingere la Donna come entità fluida portatrice di soggettività metamorfiche. Le sue creature sono le custodi di potenzialità arcaiche in costante trasformazione spirituale e protagoniste di una teologia femminista e surrealista sui generis. Carrington ha scritto moltissimo dagli anni Quaranta e ha continuato a produrre libri fino agli anni Ottanta. La conosciamo meglio anche grazie all’autobiografia Giù in fondo (1979), un tuffo nella sua follia come in un giardino di orrori e meraviglie in cui si svela al lettore a cui chiede complicità e partecipazione. L’artista attraverso la pittura e la scrittura vive il trauma dell’introspezione, gioca con gli automatismi surrealisti, passa come lei scrive dal “il disastro nella liberazione dello spirito”.
Non era musa di nessuno ma creatrice, studia alchimia e magia, cade nell’inferno e rinasce creatura misteriosa, ‘uccide’ paure ma convive con i suoi ‘mostri’, compagni di esplorazioni di un mondo che si pretende normale con uno sguardo folle, in cui coltiva la componente fantastica fine alla fine della sua vita. Per Carrington la pittura, l’esoterismo è lo specchio dell’anima di uno spirito ribelle, che va oltre Lewis Carroll o Beatrix Potter, seguendo tematiche svincolate dalla ragione e dalla logica. Lei è poeticamente folle, dissacrante, ironica padrona delle sue argute metamorfosi, e tra fiaba e racconto biografico, ermetico e trasfigurato, noi spettatori possiamo danzare con l’immaginazione intorno ai suoi mondi popolati da animali parlanti, cavalli, tartarughe e gatti giganteschi, figure ibride tra uomo e animali: qualcosa che non è io, ma è accattivante Mistero. In mostra sala dopo sala attraversiamo cucine rosso fuoco e seguiamo il ritmo magico di cavalcate notturne di inquietanti creature. Siamo attratti dai suoi manichini mascherati e custodi dell’occulto che ci conducono diritti vero in un percorso iniziatico, nell’altrove, senza sapere quale, oltre l’oscurità, l’apparenza dove l’ignoto è luce, rinascita e leggiadra armonia nel caos dell’universo.

Leonora Carrington e Milano
Leonora Carrington a Milano, è stata tra le protagoniste della mostra “L’altra metà dell’avanguardia 1910-1940” a cura di Lea Vergine nel 1980. Dieci anni dopo, Arturo Schwarz, estimatore della pittrice dell’inconscio, sempre a Palazzo Reale, curò una mostra sul Surrealismo in cui spiccavano tre opere memorabili di Carrington: The Care of Silence, Portrait of the Late Mrs. Partridge e Night Nursery Everything. L’internazionalizzazione dell’autrice adorata in Messico e poco conosciuta in Europa arriva nel 2022, con “Il Latte dei sogni”, titolo della 59. Esposizione Internazionale d’Arte a Venezia, a cura di Cecilia Alemani, tratto dal libro omonimo di fiabe scritto negli anni Cinquanta da Carrington per i suoi figli. Nel 2023 l’abbiamo ritrovata a Palazzo Reale in occasione della mostra dedicata a Max Ernst, “l’amour fou” che l’ha stimata, venerata e giustamente chiamata “la sposa del vento”; come il titolo di una sezione della prima mostra retrospettiva in Italia da Arcq e Matin, curatori in coppia anche della precedente mostra dedicata a Leonor Fini. L’esposizione milanese di Carrington, sarà ospitata al Musée du Luxemburg di Parigi, a febbraio 2026.

Carrington folle, visionaria e contemporanea
Nata in Inghilterra da una famiglia agiata dell’alta borghesia, Lenora trasgredisce il ruolo di brava ragazza, sfida il padre affermandosi come pittrice, scultrice, illustratrice, scrittrice, drammaturga, andando contro ruoli e convenzioni imposti dalla società patriarcale, dall’irriverenza mistica è sempre stata fedele alla sua libertà espressiva. I suoi dipinti figurativi sono riconoscibili per un esoterismo fiabesco in cui intreccia letteratura, mitologia, simbolismo, poesia e surrealismo. È una indomita viaggiatrice tra realtà e fantasia che parte dal Lancashire, passa a Firenze, Parigi, Spagna, Portogallo, New York per approdare definitivamente a Città del Messico, è di per sé degna di una trasposizione cinematografica. Carrington, un’ecofemminista che inventa riti alchemici popolati da animali fantastici che incarnano libertà e trasformazione, ha affrontato le difficoltà della vita armata di follia, è sopravvissuta alla violenza e ai trattamenti psichiatrici non umani nel 1940, quando è stata ricoverata in un ospedale di Santader, nella Spagna fascista, in seguito a un esaurimento nervoso. L’artista è contemporanea per tematiche che comprendono ecologia, il mistero e le trasformazioni del copro, il potere e la solidarietà femminile, la libertà di genere e la riscoperta di saperi antichi, esoterici come strumenti di conoscenza non razionali, in cui tutti gli oggetti dipinti assumono un valore simbolico, allegorico e instaurano un dialogo tra cosmo e microcosmo. Il fermento esoterico nel Messico della metà del Novecento, offre a Carrington un terreno fertile dove coltivare il passaggio dall’alchimia interiore a una presa di coscienza collettiva, come ad esempio in The Powers of Madame Phonica (1974). C’è una potente volontà di sopravvivenza ai traumi della Vita nelle sue opere: e, guardandole con attenzione, potremmo comprendere – per citare Santiago Genovés – come “l’intelligenza che ha inventato la guerra potrebbe inventare la pace”.


