BLACKOUT: Skygolpe e il suo nuovo capitolo critico sull’identità digitale

Negli spazi di WUF a CityLife, Milano, Skygolpe (classe 1986) mette in scena BLACKOUT, un progetto di esplorazione urbana che dal 19 maggio al 1° giugno trasforma la città in un’installazione diffusa. 

Era il 2022 quando all’asta Trespassing da Christie’s venne venduto per la prima volta per 69.000 dollari un NFT di un certificato di autenticità di un’opera: “PX4882E”. L’autore era Mattia Sommovigo, in arte Skygolpe. Un inizio che ha lanciato la sua carriera, in un momento di vera trasformazione digitale subito dopo la pandemia. Ora siamo nel 2025, il cryptoartista è diventato uno dei più affermati e riconosciuti sul campo. Ormai “cryptoartista” e “digitale” non suscitano più scalpore: conviviamo quotidianamente con tecnologie in rapida espansione dal 2022 a oggi. La nostra conoscenza del fenomeno è cresciuta, ma la tecnologia corre sempre più veloce.

BLACKOUT è un punto di partenza, Skygolpe vuole portare il progetto nella sua La Spezia. Il suo mantra ““La vita è arte” racconta un continuo processo di rielaborazione mentale e concettuale (matrice del tutto) che guida ogni sua opera, dagli spazi di WUF Studio alla città. Sei maxi billboard – da Piazzale Istria a Via Rogoredo, da Viale Sarca a Via Bodio – recano slogan come “INGOIA IL PROGRESSO”, “LE MACCHINE SONO FEDELI” e “ARTE SENZA ARTISTI”, le stesse frasi ripetute da WUF dove emergono in bianco su nero, luminose e pulsanti, come messaggi in codice che interrompono il flusso continuo di immagini a cui siamo abituati. Parole come  “I AM NOT A ROBOT”, “YOU ARE THE PRODUCT” richiamano un’estetica digitale da sistema in crash o errore di sistema.

Un linguaggio visivo che destruttura l’identità e l’esperienza digitale contemporanea: il concetto di “blackout” sembra essere interpretato quasi come una rottura: una metafora della coscienza collettiva quando viene disconnessa o alienata.

Psiche e tecnologia si incontrano nel lavoro di Skygolpe: le sue immagini nascono in co-creazione con un’intelligenza artificiale autonoma, in un rapporto 50/50 che si modifica a seconda del progetto. Una scelta che dialoga con la filosofia di Martin Heidegger su tecnica e rivelazione del reale, e con Emanuele Severino, per il quale la supremazia tecnologica è al contempo promessa di un futuro più all’avanguardia e minaccia per l’essere umano stesso.

In BLACKOUT, la tecnologia non è neutra: ci mostra l’arte come un luogo in cui l’umano è invitato a riconoscere le proprie crepe emotive e a confrontarsi con la fragilità di un sé sempre mediato e rapito da schermi e algoritmi.

Artisticamente, raccoglie l’eredità di Jenny Holzer, Barbara Kruger e Lawrence Weiner: come loro, usa il linguaggio come materiale visivo e strumento critico. Le sue frasi non hanno un significato fisso, ma si caricano di ambiguità e contraddizioni. “YOU ARE THE PRODUCT” o “REALITY IS STREAMING” ci costringono a rivedere il nostro ruolo, da spettatori o consumatori, all’interno di un sistema media che ci totalizza.

“La forza dell’intelligenza artificiale è proprio quella di scavalcare il punto di vista individuale per metterti alle strette e farti ragionare su più punti. A me piace molto la dimensione maieutica di BLACKOUT, dove attraverso l’interazione si scava più in profondità” ci racconta Skygolpe.

BLACKOUT non è una mostra isolata, ma l’avvio di un percorso che vedrà Milano prima tappa di un itinerario internazionale. È un progetto in divenire, che vuole restituire alla città la responsabilità di interrogarsi sul confine tra creazione umana e automatica, tra realtà percepita e generata.

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