Bialetti diventa cinese. Ecco le “moke” più iconiche

La notizia ha fatto il giro delle redazioni come il caffè nella moka al mattino: lenta, inesorabile, bollente. Bialetti, l’azienda simbolo del caffè italiano, è passata sotto il controllo di un gruppo cinese. Una piccola rivoluzione domestica che ha il sapore agrodolce di quei cambi di proprietà che ti fanno stringere la tazzina un po’ più forte, come a dire: non toccatemi il rito.

Fondata nel 1933 da Alfonso Bialetti, l’azienda ha rivoluzionato l’abitare italiano con un oggetto tanto semplice quanto iconico: la moka. Otto lati, un omino con i baffi, e quel rumore sputacchiante che ha segnato l’inizio di infinite giornate. La moka non è solo design industriale, è un gesto, una memoria condivisa. È la cosa che ci portiamo dietro nei traslochi, nei campeggi, anche nei viaggi all’estero. E ora, ironia della sorte, finisce nelle mani di chi, fino a ieri, veniva imitato con un “cinque minuti con l’acqua calda e il tè verde”.

La vendita al gruppo cinese Nuo Capital è avvenuta tra risanamento e strategia globale: Bialetti era in crisi da tempo, strangolata dai debiti, superata dalle cialde e aggredita dal ritorno nostalgico del caffè filtrato. Ma se il futuro è ancora da scrivere, il passato — quello sì — è scolpito nell’alluminio. Ecco perché vale la pena fare un viaggio tra le moke più iconiche della storia Bialetti, piccole sculture quotidiane che raccontano un pezzo di Italia.


1. Moka Express (1933) – La rivoluzione silenziosa

È la mamma di tutte le moke. Disegnata da Alfonso Bialetti stesso, la Moka Express nasce nel pieno di un’Italia fascista, ma la sua vera gloria arriva nel dopoguerra, con il boom economico. Linee razionaliste, manico in bachelite, alluminio lucidissimo: è la caffettiera che entra nelle case di tutti, dal nonno operaio al regista d’avanguardia. Il suo successo è dovuto anche alla genialità del figlio Renato, che nel 1953 inventa l’Omino coi Baffi, alter ego dell’italiano medio col vizio dell’espresso.


2. Brikka (1988) – La crema a casa tua

Negli anni Ottanta, Bialetti cerca l’effetto bar: nasce Brikka, la moka con valvola che produce crema. È un piccolo miracolo ingegneristico che conquista gli amanti del caffè “pieno”. Con Brikka si sente un nuovo suono: meno gorgogliante, più potente, quasi muscolare. È la moka dei bodybuilder del gusto. Oggi è molto ricercata anche nei mercatini del vintage nerd.


3. Mukka Express (2006) – La più pop e kitsch

Probabilmente la moka più divisiva di sempre. A forma di mucca, con macchie bianche e nere e un sistema che permette di fare il cappuccino. Un oggetto a metà tra il gadget e la provocazione. È kitsch? Certo. Ma anche terribilmente affettuosa. È la moka che trovi nelle cucine delle nonne hipster, di quelli che collezionano troll e palline di neve.


4. Moka Induction (2014) – L’adattamento ai nuovi fuochi

Con l’arrivo dei piani a induzione, l’alluminio diventa un problema. Bialetti risponde con una moka in acciaio e fondo magnetico. È meno affascinante, più fredda, ma si adatta al mondo contemporaneo. È la moka dell’architetto che vive in un monolocale-miniera di design, tutta grigio e ordine.


5. Dama Glamour (2014) – L’estetica prima di tutto

Coloratissima, con manico curvo e dettagli soft touch. La Dama Glamour è una moka che strizza l’occhio al mondo della moda, del lifestyle, delle fotografie su Instagram con filtro Valencia. Una moka da shooting, non da cucina unta. Ma proprio per questo, profondamente contemporanea.


6. Moka Timer (2015) – Il futuro che non ci piaceva

Moka Timer è un ibrido: una moka con base elettrica e sveglia integrata. Puoi programmare il caffè. Fantascienza triste. È l’oggetto che ci fa capire che la magia sta nell’attesa, nella manualità, non nella comodità. Fallisce, ovviamente. Ma resta come reperto di un sogno smart mai veramente decollato.


7. Mini Express – La moka da innamorati (o da single convinti)

Un piccolo palco in alluminio che sputa due caffè direttamente nelle tazzine. Niente raccoglitori, niente versamenti. È la moka da scenografia, da colazione a letto, da film francese. O, più realisticamente, da coinquilino che vuole sentirsi speciale con due tazzine da 40 ml e una finestra sul cortile.


Cosa succederà ora che Bialetti è cinese? Nessuno lo sa davvero. Nuo Capital ha promesso di “preservare l’identità del marchio”, ma lo abbiamo già sentito dire troppe volte. Il rischio è che l’omino coi baffi diventi un ologramma brandizzato, che la moka venga prodotta in serie per aeroporti, con design neutro e packaging globalizzato.

Ma l’identità, quella vera, sta nelle mani. In chi apre la moka, la lava a mano, la riempie a occhio, senza misurino. Sta nei piccoli gesti ripetuti ogni giorno, anche se la moka è vecchia, storta, annerita. Sta nel rumore. E finché quel rumore continuerà a salire dai fornelli italiani, non ci sarà holding internazionale in grado di zittirlo.

E se dovessero cambiare tutto, se l’omino coi baffi dovesse sparire, se la forma diventasse più “globale”, ci resterà sempre la vecchia moka Express, quella che sopravvive nelle credenze, negli zaini da campeggio, nei mercatini e nei ricordi. Perché un vero caffè, lo sappiamo tutti, sa ancora di casa. Anche quando la casa cambia padroni.

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