Palazzo Belgioioso, nel cuore che più cuore di così non si può a Milano, è il nuovo indirizzo per collezionisti e appassionati d’arte. È quello che il celeberrimo gallerista austriaco Thaddaeus Ropac – con sedi già a Londra, Parigi, Salisburgo, Seoul – ha scelto per il suo debutto in Italia, l’evento forse più atteso dal mercato dell’arte nostrano, in questo autunno meneghino. Padrona di casa (e direttrice volitiva e capace) è Elena Bonanno di Linguaglossa: padre siciliano, madre belga, nata a Roma 45 anni fa, «cresciuta con un’etica del lavoro che definirei protestante», ha maturato una solida esperienza nel mondo dell’arte, lavorando a Londra per le principali gallerie. A lei Ropac ha affidato il compito di aprire la sede milanese della sua galleria. Un lavoro che ha richiesto anche parecchi lavori di sistemazione degli spazi e subìto una burocrazia (italiana) non sempre agile, ma ora eccoci qui: le eleganti porte della sede si sono finalmente aperte, e lo hanno fatto con una mostra di raffinata eleganza.
Al primo piano del palazzo (per entrare in galleria si accede dal secondo cortile sulla sinistra) è allestita una bi-personale che presenta dipinti e sculture realizzate dal tedesco Georg Baselitz (n. 1938) nell’ultimo decennio accanto a lavori di Lucio Fontana (1899-1968) concepiti tra gli anni Trenta e gli anni Sessanta. S’intitola “L’aurora viene”, presenta anche un nucleo di opere concesse in prestito dalla Fondazione Lucio Fontana, ed è una mostra inedita, originale (si può visitare fino al 21 novembre).

«Dovevamo partire con qualcosa di notevole», ci aveva confidato Bonanno mesi fa. Il risultato, a giudicare dai commenti dei numerosi collezionisti e della stampa italiana ed estera che in questi giorni si è affacciata in galleria, è stato raggiunto. E del resto la curatela di Luca Massimo Barbero non poteva alimentare dubbi: nonostante i due artisti non si siano mai incontrati di persona, questo “dialogo in assenza/presenza” funziona, eccome. Fontana ha infatti esercitato, per ammissione dello stesso Baselitz, un ruolo fondamentale nella sua parabola creativa e l’approccio dei confronti diretti in mostra tra le opere dei due artisti si basa sul fatto che per entrambi l’arte è una sorta di annunciazione, di soglia, di varco verso qualcosa d’altro (o di Altro?).
Già nella prima sala, il “Concetto spaziale” di Fontana del ’64-’65 pare il contrappunto perfetto alla grande tela “Arrivato a passo, signora Kraut”, notevole opera di Baselitz del 2019, un dipinto fatti di pieni e di vuoti, dove la figura capovolta rimanda a diverse possibilità di visione. Il salone centrale, su cui si affacciano altre tre salette laterali, è dominato da “Senza arrivo, Lucio è passato”, un olio anche questo di dimensioni monumentali che due “Concetti Spaziali” di Fontana (tra cui la cosiddetta “Fine di Dio”, di colore rosa: un incanto che toglie il fiato) paiono voler prendere per mano.

Da non perdere poi, in una delle sale laterali, una recentissima scultura in bronzo dell’artista tedesco, che pare evocare nelle sue forme quella ricerca cosmica cui l’arte di Fontana si è sempre dedicata.
Siamo in galleria, ma pare di essere in un museo, per una sorta di sacralità che aleggia nell’aria: le ampie finestre luminose, i decori degli stucchi, le pareti candide di Palazzo Belgioioso, progettato dal Piermarini nel lontano 1772, sembrano fatte apposta per questo dialogo all’insegna di un’arte ad alta densità specifica. Baselitz e Fontana, ciascuno a modo suo, si confrontano sulla concezione dello spazio e degli oggetti, ragionano sulle forme e sulla loro origine, si spingono sempre verso altre dimensioni. Leggiamo che, a proposito di questo progetto, Georg Baselitz ha detto: «L’interpretazione non è di nessuna utilità per un artista. Alla mia età, si tratta più che altro di un confronto intellettuale, senza nessuna dipendenza». Come dargli torto?



