Avere vent’anni. Il Festival di Fotografia Europea di Reggio Emilia indaga gesti, paure e sorrisi della Gen Z

Le parole “Avere vent’anni – Being Twenty”, possono suonare come una nostalgica invocazione di chi la soglia dell’adolescenza già l’ha passata da tempo. Eppure, a ben pensare, questa non è una fase della vita tra le più semplici e felici, soprattutto in un’epoca come la nostra, funestata da gravi conflitti bellici e sociali, crisi ambientali ed energetiche, difficoltà economiche e occupazionali. Con l’evento espositivo che porta questo titolo, il Festival Fotografia Europea, giunto quest’anno alla ventesima edizione, dedica a Reggio Emilia – ai Chiostri di San Pietro, a Palazzo Da Mosto e in altre sedi (fino all’8 giugno) – 16 mostre a più voci che esplorano storie sviluppatesi negli ambienti giovanili di vari Paesi – Italia, Regno Unito, Belgio, Germania, Lituania, Polonia, Russia, come anche USA, Africa, Medio-Oriente, Hong Kong –, e colte da obbiettivi sensibili, che si muovono all’insegna dell’impegno civile e della volontà di testimoniare le trasformazioni globali che il mondo sta oggi attraversando.

Daido Moriyama<em> For provoke 2 Tokyo 1969</em>

I direttori artistici della manifestazione – Tim Clark, Walter Guadagnini e Luce Lebart – hanno parlato di “danza tra collettivo e personale, tra storia ed esperienza individuale…”, additando come uno degli antesignani dello stile fotografico degli autori di oggi quello di Daido Moriyama, celebre maestro giapponese che ha rivoluzionato, a partire dagli anni Sessanta, i canoni di ripresa tradizionali, svelando il dramma di un Paese ancora profondamente scosso dalle distruzioni atomiche.  A lui, non a caso, è dedicata nelle sale a piano terra dei Chiostri di San Pietro, un’importante retrospettiva curata da Thyago Nogueira, che mette in luce il percorso compiuto in veste di sensibile testimone delle profonde inquietudini socio-culturali diffuse all’epoca e dei precari equilibri fra influssi della tradizione e suggestioni dei modelli occidentali.

Thaddé Comar<em> How was your dream Hong Kong 2019</em>

Un rapido sguardo ai progetti espositivi dei nove fotografi, presentati nella stessa sede, mette in luce la diversità dei linguaggi che però ruotano intorno al medesimo tema: il disagio giovanile. Foto dirette come ritratti in posa, foto di gruppi legati da comuni avventure esistenziali e culturali, foto di luoghi e situazioni, sempre rivelatrici dell’intrecciarsi di connessioni sociali e politiche che spesso con la storia recente e recentissima devono fare i conti.

Claudio Majorana<em> Mal de Mer Lithuania 2022</em> © Claudio Majorana CESURA

Il progetto espositivo Mal de Mer di Claudio Majorana potrebbe essere assunto a incipit da cui concettualmente si susseguono le immagini degli altri fotografi, sia per la forza di penetrazione psicologica esercitata dall’autore sui soggetti ritratti, enfatizzata dall’icasticità dei bianchi e neri, sia per l’esemplare capacità di analisi di una situazione particolarmente drammatica. Realizzati a Vilnius, in Lituania, gli scatti esprimono alienazione ed emarginazione, e, come sottolinea l’autore stesso, assurgono a simbolo di una generazione afflitta da profonde problematiche esistenziali. Perché proprio la Lituania?  “La Lituania ha una storia molto complessa: le due dominazioni sovietiche e quella nazista hanno lasciato nel Paese un trauma collettivo che è andato a rompere i legami sociali e culturali protettivi della popolazione. Sebbene le nuove generazioni non abbiano vissuto direttamente questi eventi, l’impatto di quelle occupazioni continua a influenzare l’identità e la memoria storica del Paese”. Majorana, che è arrivato alla fotografia con background di studi di medicina, aggiunge: “Faticavo a vedere qualsiasi possibile connessione con il percorso che stavo iniziando e la fotografia. Sono passati anni prima che riuscissi a vedere quanto questi due campi di ricerca non solo potessero convivere, ma anche arricchirsi reciprocamente. Mi sono laureato con una tesi sulle tecniche di neuroimaging funzionale, applicate allo sviluppo del sistema nervoso durante l’adolescenza. È stato un periodo estremamente appassionante, per la prima volta vedevo quanto i miei studi potessero influenzare la mia ricerca fotografica”.

Vinca Petersen<em> Riot boy Raves an Riots Constellation 1998</em>

Da qui, ecco diramarsi per le sale dell’antico monastero, progettato nel XVI secolo da Giulio Romano, i vari approcci artistici. Dalle immagini diaristiche scattate fra il 1990 e il 2004 ai free party di Rave and Riots Constellation dalla britannica Vinca Petersen – che offrono uno stimolante termine di confronto “storico” con le opere più recenti di autori volti a cogliere on the road attitudini comportamentali contemporanee – a quelle documentarie di How was your dream? realizzate nel 2019 dal franco-svizzero Taddé Comar a Hong Kong durante le proteste ad alto tasso di partecipazione popolare dell’Umbrella Movement – che, ribelle alle ingerenze della Cina, innescò nuove strategie di lotta giocate sulle tecniche dell’intracciabilità –; dal reportage a tema sentimentale fra giovani della Generazione Z, svolto in Frammenti dalla dominicana Karla Hiraldo Voleau – che, liberamente ispirata dai pasoliniani Comizi d’amore, sviluppa argomenti delicati come la vita intima e la sessualità –, agli sguardi underground di Kido Mafon che in Ifucktokyo-Dual Main Character fissa scene e personaggi della Tokyo underground, testimoniando l’ansia di libertà e trasgressione come anche il dramma della solitudine, tipici delle notti della capitale nipponica. La stessa ribellione e rivendicazione dei diritti alla vita si avverte, ma in modo assai più prepotente e tragico, nelle foto e nei video presentate da Ghazal Golshiri & Marie Sumalla in You don’t die che narra la tragica storia di Masha Amini assassinata in Iran.

Michele Borzoni e Rocco Rorandelli<em> Silent Spring 2021</em>

Più complesso lo scenario a Palazzo Da Mosto, dove al lavoro Intangibile di Federica Sasso, frutto della committenza di Fotografia Europea 2025 e dedicato ai care giver della provincia di Reggio Emilia, si affiancano, tra i vari lavori, il progetto ambientalista Silent Spring di Michele Borzoni e Rocco Rorandelli e quello introspettivo-relazionale di Matylda Nizegorodcew (Octopus Diary), entrambi selezionati da Open Call; il reportage Electric Whispers di Rä di Martino, dedicato ai ragazzi del Libano e al loro rapporto con il mondo virtuale; nonché il racconto del processo creativo di Women See Many things, progetto firmato da WeWorld, cofinanziato dell’Unione Europea, all’interno del quale sono presentate opere di oltre trenta giovani donne sotto i trent’anni della Swahili Coast, tra Kenya, Tanzania e Mozambico, stimolate da Myriam Leoni a cimentarsi in modo creativo con la macchina fotografica: sia che si tratti di pescatrici di alghe in cerca di una precisa identità professionale che di conversatrici, sedute fuori da un bar per soli uomini, che della ragazza dell’isola di Kwale sorpresa con guantoni durante una pausa dell’allenamento di boxe.

Myriam Meloni<em> Breaking Stereotypes Riding a Motorcycle Kwale Kenya 2024</em>

Quale l’approccio delle ragazze? “La maggior parte di loro era già familiarizzata con la fotografia, sia perché usava il proprio smartphone per produrre immagini da scambiare con parenti e amici sia perché si nutriva di immagini o le condivideva attraverso le reti sociali”. Quale lo scopo principale del progetto: “Recuperare l’idea della narrazione fotografica come forma di racconto di sé, dove l’immagine possa essere usata in modo più cosciente, autentico e, soprattutto, in maniera collettiva”, spiega Myriam Meloni.
Infine, a Palazzo dei Musei, a latere della mostra “Luigi Ghirri. Lezioni di fotografia”, è ospitata la 12a edizione di Giovane Fotografia Italiana/Premio Luigi Ghirri, rivolta a fotografi italiani under 35, a prova tangibile della attività di promozione dei nuovi talenti svolta dal Comune di Reggio Emilia.

Kido Mafon <em>Liberating Paradise Ifucktokyo 2020</em>


Qui la collettiva “Unire/Bridging”, a cura di Ilaria Campioli e Daniele De Luigi, presenta i finalisti Daniele Cimaglia e Giuseppe Odore, Rosa Lacavalla, Sara Lepore, Grace Martella, Erdiola Kanda Mustafaj, Serena Radicioli e Davide Sartori. Particolarmente impressiva I’opera La dote di Latera di Cimaglia e Odore, incentrata sulla tradizione della coltivazione e tessitura della canapa in questo borgo della Tuscia laziale divenuto simbolo di condivisione e coscienza ambientale.

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