Con l’arrivo dell’autunno, la Fondazione ICA Milano inaugura un trittico di mostre che intrecciano pittura, installazione e riflessione sociale, consolidando il ruolo dell’istituzione come osservatorio critico sulla contemporaneità. Dal 26 settembre all’8 novembre 2025, negli spazi di via Orobia, trovano posto tre personali che, pur con linguaggi differenti, si interrogano sul ruolo dell’arte nella società e sulla sua capacità di generare significato nel tempo presente: Oliver Osborne, Lewis Hammond e Isabella Costabile.
Al primo piano, The Sleeping Guard, a cura di Alberto Salvadori, segna la prima personale istituzionale in Italia di Oliver Osborne (Edimburgo, 1985). L’artista affronta un nodo cruciale: che cosa può ancora comunicare la pittura nell’epoca del digitale e dell’immagine istantanea? Attraverso un corpus di opere degli ultimi dieci anni, Osborne mette in campo riferimenti alla storia dell’arte – da Mantegna a Filippino Lippi – contaminandoli con la propria dimensione intima e con suggestioni tratte dal contesto milanese. In Mantegna’s Dead Christ (2022), ad esempio, la memoria iconica del Cristo morto della Pinacoteca di Brera si dissolve in una sagoma luminosa, evocando il tempo che passa e la fragilità della visione. La ripetizione dei soggetti, in particolare i ritratti dei figli, diventa esercizio di resistenza e pazienza, un modo per spingersi oltre la riconoscibilità e aprirsi all’inaspettato. Ne emerge un’indagine sulla pittura come linguaggio ancora vivo, capace di oscillare tra figurazione e astrazione, e di mantenere una tensione poetica anche nell’epoca della riproducibilità tecnica.
Nella grande sala al piano terra, la mostra Black Milk, a cura di Chiara Nuzzi, presenta il lavoro del britannico Lewis Hammond (1987). Qui la pittura si fa terreno di proiezione di ansie collettive e interrogativi spirituali. I dipinti, realizzati tra il 2024 e il 2025, si muovono tra iconografia cristiana e atmosfere sospese, evocando corpi distorti, altari vuoti, animali simbolici. L’Agnus Dei di Fulcrum (2024) e il coniglio enigmatico di Untitled (2025) si inseriscono in un repertorio che unisce speranza e precarietà. Hammond affronta il tema della fede non come dogma religioso, ma come condizione psicologica e sociale: in cosa riponiamo oggi la nostra fiducia, individuale e collettiva? Il titolo, Black Milk, racchiude questa ambiguità: il latte, nutrimento vitale, si tinge di nero, diventando metafora di un presente in cui paura e speranza coesistono. L’allestimento stesso amplifica questa tensione: due pareti spezzano la linearità dello spazio e i toni cromatici immersivi accentuano la dimensione emotiva dei dipinti, invitando il visitatore a un’esperienza introspettiva.
La project room ospita invece Whose is this?, progetto di Isabella Costabile (New York, 1991), a cura di Chiara Nuzzi e Gabriella Rebello Kolandra. L’artista lavora con materiali di recupero, soprattutto scarti metallici raccolti da garage e stabilimenti industriali, che riassembla senza alterarne la materia, trasformandoli in presenze ibride e instabili. Le sue sculture evocano un’archeologia contemporanea, un paesaggio di oggetti che hanno perso la funzione originaria e acquisito nuovi significati. In Intreccio quotidiano, Costabile indaga il ruolo del disegno e delle ombre proiettate, che diventano parte integrante della composizione, innescando trame visive mutevoli. C’è una dimensione duchampiana evidente: i ready-made e gli object trouvé si caricano qui di memorie e storie, restituendo al pubblico frammenti di tempo. La parola scritta gioca un ruolo centrale: titoli come Dreaming on books orientano la lettura e aprono immaginari legati alla trasparenza, al sogno, alla fragilità.
Il valore di questa stagione espositiva risiede nella sua pluralità di sguardi: tre artisti di generazioni diverse, accomunati dall’idea che l’arte non sia mero ornamento, ma strumento critico per indagare la condizione umana. Osborne esplora la sopravvivenza della pittura nell’epoca digitale; Hammond mette in scena la tensione tra fede e disincanto; Costabile riscrive la grammatica degli oggetti di scarto, trasformandoli in tracce poetiche.


