“A cosa stai pensando?” chiede la prima volta il giovane Sandrino incantato dalla bellezza di Parthenope. Ed è la frase che accompagna l’intero sviluppo del nuovo capolavoro di Paolo Sorrentino, nelle sale da poche settimane. “A tutto il resto” risponderà solo una volta l’affascinante quanto misteriosa protagonista Celeste Dalla Porta. Lo stato d’animo della protagonista è quello in cui si incorre di fronte a tale domanda, colpevole di interrompere, bruscamente per chi ne è vittima, un sogno a occhi aperti.
The Era of Daydreaming. È davvero l’era del sogno a occhi aperti? È il tema che il comitato e i curatori hanno sottoposto ai galleristi e agli artisti all’ultima edizione di Artissima. Affiancato dai grandi nomi del contemporaneo che non smettono mai di stupire, il corso della (nuova) pittura prosegue le sue conquiste e ha fatto tappa alla fiera torinese. Così, dopo aver precedentemente celebrato i fasti di una giovane pittura che si riconosce dall’odore (e non solo) nella galleria casertana di Nicola Pedana, ecco che la scala di valutazione si fa molto più ampia e coinvolge la grande kermesse internazionale all’ombra della Mole. Sì, proprio lì dove è nata l’Arte Povera, antipittura per eccellenza, ovviamente ben rappresentata ad Artissima come di recente alla Bourse de Commerce a Parigi.

Ma occorre fare un passo indietro. Cosa vuol dire sognare a occhi aperti? Per Sigmund Freud il daydreaming è un mero compromesso tra i desideri inconsci (spesso repressi e non soddisfatti) e le limitazioni imposte dalla realtà. Per Carl Jung si tratta, invece, di una manifestazione delle “immagini archetipiche” dell’inconscio collettivo. In altre parole, una sorta di esplorazione della psiche, in cui si possono manifestare simboli e archetipi comuni a tutta l’umanità. La (nuova) pittura ha provato a rispondere a queste sollecitazioni e ha lasciato delle tracce tangibili e simboliche delle evoluzioni dell’arte contemporanea nel mondo.

Dal Sudafrica Mia Chaplin, classe 1990, è rappresentata dalla galleria Whatiftheworld di Cape Town. In Long Fingers The Knots e Your Island lascia intravedere all’occhio corpi femminili sensuali quanto misteriosi, immersi in superfici impastate di toni rosa carnosi. Uno stile pittorico irregolare quanto originale che cela un erotismo malinconico e introspettivo.

La galleria A Gentil Carioca porta la cultura brasiliana nel Vecchio Continente. Il giovane artista conosciuto come “O Bastardo” idealizza uno stile in cui la provocazione, la satira sociale e la critica politica si riflettono in un’iconografia pop e nei linguaggi dell’arte urbana.

Birgit Megerle dà vita a volti, persone, scene sospese in uno spazio atemporale e astratto. Un lavoro che combina elementi di realismo con un’estetica minimalista e una palette di colori sobria. Si passeggia e si viene ammaliati dagli sguardi onirici dei suoi protagonisti allo stand della galleria napoletana Fonti. L’empatia con le opere di Birgit Megerle è una gradevole sfida in cui lasciarsi ingaggiare.

Intanto, in un’altra galleria partenopea, quella di Alfonso Artiaco, si sono celebrati i fasti di una new wave pittorica che sta crescendo in quella prolifica terra che è la Campania Felix. Due nomi per tutti: Nicola Vincenzo Piscopo e Paolo Bini. Il primo dipinge forme dal gusto apparentemente astratto, capaci di essere al tempo stesso paesaggi dell’anima ma anche del corpo. È una pittura che vive di tensioni, tra malinconia e ironia, tra l’apparire e l’essere, oscillando tra surrealismo e pararealismo. Di taglio profondamente diverso è il lavoro di Paolo Bini (presenta anche con la galleria Simóndi). I suoi colori sono squillanti. La pittura esplode sulla superficie, segue fasce parallele, riconosce un ritmo, una geometria di base. Ma poi trasgredisce le scansioni e trasgredisce anche se stessa. Deborda, invade, occupa territori. In entrambi i casi la loro pittura ha il profumo della libertà, dell’innovazione, della freschezza. Non si racconta, ma si esprime. La narrazione lascia il posto alla forza espressiva.
La pittura di questo terzo decennio del Duemila vive a varie latitudini, dunque. Non deve descrivere né raccontare, è libera di interpretare se stessa, si rende autonoma dalle ricerche digitali, ma assorbe quello che il globalizzato mondo esprime. È una pittura che si fa pittura.