Si è appena conclusa a Sassari la terza edizione di ArtiJanus/ArtiJanas, che dal 5 al 7 giugno 2025 ha trasformato gli spazi rinnovati dell’Ex Ma.ter in un laboratorio di dialogo tra artigianato, design e nuove generazioni. «Le diseguaglianze segnano fin dall’inizio la vita di ciascuno di noi. A volte come risorse, a volte come catene. Quando diventano freno alla libertà, sono la forma perversa delle differenze che la storia e la geografia hanno generato nelle comunità umane» ha ricordato Stefano Boeri, presidente di Triennale Milano, riassumendo il tema di questa edizione, dedicata all’alterità come spazio di confronto e ricerca.
Promosso da Fondazione di Sardegna con la direzione scientifica e artistica di Triennale Milano e Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte, il festival ha portato in scena un fitto programma di residenze, workshop, installazioni e incontri. Al centro, la sfida di rendere di nuovo attrattivi i saperi artigianali per le nuove generazioni, restituendo dignità e futuro ai mestieri. Ne abbiamo parlato con Nina Bassoli, curatrice del programma e Barbara Cadeddu, coordinatrice scientifica del progetto.

NINA BASSOLI
La collaborazione tra istituzioni come Triennale Milano e realtà locali è uno degli asset del festival. Cosa rende, secondo lei, ArtiJanus/ArtiJanas un laboratorio virtuoso di queste sinergie?
La collaborazione tra istituzioni come Triennale Milano e realtà locali è una cosa molto interessante, nel senso che proprio nello scambio di competenze e nell’attenzione ai luoghi. Istituzioni internazionali come Triennale possono veramente condurre delle ricerche profonde sui territori e sul senso della cultura e dell’architettura, in particolare nel mio caso, rispetto ai luoghi reali.
Questo vuol dire anche fare cultura in rete e accrescere un lavoro profondo radicato in anni, ormai possiamo parlare di più di un secolo di storia, che ha un valore sicuramente su scala nazionale. Per fare questo è molto importante toccare con mano capillarmente delle realtà anche remote, come quella della Sardegna, e alcuni casi specifici, speciali, sono sicuramente ciò che ci permette di fare un discorso così ampio.
Qual è, secondo lei, il rapporto tra architettura e alterità?
Il Festival, da come è sempre stato concepito, mette in dialogo alterità, centri e periferie, istituzioni internazionali con piccole realtà, artigiani con designer, ovvero una cultura tradizionale secolare con il design contemporaneo più innovativo. L’alterità risiede anche in questo, nell’avere a che fare con competenze diverse dalle nostre, poter imparare dal prossimo, anche mentre si insegna, così come fanno gli artigiani e i designer in residenza durante il Festival ARTIJANUS/ARTIJANAS. Rispetto all’architettura questo è importantissimo, poiché essa deve ascoltare i luoghi, deve imparare dai luoghi e quindi deve sempre essere in grado di affrontare la propria alterità rispetto a un contesto nel momento in cui viene costruita e che è qualcosa di altro rispetto a ciò che già esisteva, come qualcosa di sinergico, dialettico e non oppositivo.

Perché, soprattutto nel contesto di ARTIJANUS/ARTIJANAS, è importante parlare di realtà come La Rivoluzione delle Seppie e MAR Miniera ARgentiera?
Nel corso degli ultimi anni, nella cultura architettonica internazionale e anche nel panorama italiano, alcune esperienze molto interessanti mettono in campo questo tipo di approccio che è il festival dedicato più all’artigianato e al design, sembrerebbe come dire occuparsi di un’altra disciplina, quella del design, ma invece anche nell’architettura, nella rigenerazione urbana, un approccio di tipo in un certo senso artigianale, nel senso di fatto con le mani, fatto con la cultura locale, è in corso ed è molto interessante.
L’esperienza della rivoluzione delle seppie di MAr, miniera argentiera, è rispettivamente una in Calabria, quindi molto lontano da qui, e l’altra invece all’interno del comune di Sassari, a pochi chilometri, molto importante a livello nazionale e internazionale, sono due casi studio da esplorare per entrare in risonanza con le attività del festival.
Ieri Rita Elvira Adamo ci ha raccontato l’esperienza che Travel Monte Calabro Cosenza sta portando avanti a partire dal 2017 insieme alla sua associazione La Rivoluzione delle Seppie, rigenerando e riqualificando un piccolo borgo delle aree interne e mettendo in rete a livello virtuale alcune delle attività storiche presenti a Cosenza, che però tuttavia sono nascoste perché non si conoscono, sono delle operazioni che porta avanti insieme alle associazioni locali, con l’ascolto dei luoghi, con una grande forza, anche direi vitale, di condurre la propria esistenza intrecciata con un progetto di rigenerazione urbana molto generoso.
Molti progetti sono fatti in autocostruzione, per cui il rapporto con l’uso delle mani non intende essere così letterale, ma c’è anche questo aspetto. L’associazione di Landworks, che lavora invece in Sardegna, è in questa ex miniera d’argentiera e in un modo analogo rigenera questo spazio pubblico, costruendo nuove attività per gli abitanti, per i turisti, per nuove comunità turistiche e di residenze di artisti e per dare un valore del tutto inedito e inaspettato, poetico ma anche rifunzionalizzante a un luogo che, seppur marginale, è di una straordinaria potenza. Quindi questo rigenera anche tutti noi.

BARBARA CADEDDU
Questa terza edizione di ArtiJanus/ArtiJanas porta il tema dell’alterità al centro del dialogo tra design, artigianato e nuove generazioni. Quali sono i fili conduttori che attraversano i progetti e i workshop in programma a Sassari?
ArtiJanus/ArtiJanas è un progetto che nasce per mettere in dialogo effettivamente artigianalità e design ma anche i significati che queste pratiche sociali veicolano e più in generale per nutrire – ci piace molto questa parola – la cultura del progetto.
Dopo quattro anni di sperimentazione (perché il progetto nasce nel 2020, il festival è biennale ma noi lavoriamo tutto l’anno quindi in realtà siamo entrati nel quinto anno) e anche di lavoro sui territori della Sardegna, con la mia collega Barbara Argiolas ci siamo trovate di fronte a un fenomeno abbastanza evidente però non abbastanza messo a fuoco, perlomeno da noi, ovvero che molti dei mestieri che volevamo tanto valorizzare con il progetto ArtiJanus/ArtiJanas – quando parliamo di mestieri parliamo di competenze ma anche di un patrimonio culturale materiale immenso – stanno scomparendo.
Uno dei motivi principali è che non sono attrattivi per i giovani e noi non facciamo niente per renderli tali, noi ma neanche le istituzioni. Quindi incentivare le nuove generazioni ad avvicinarsi all’artigianato è diventato una mission, ci siamo domandati cosa potessimo fare. Certamente potevamo cambiare la percezione dominante verso questo settore che spesso sembra incline a mantenere una visione molto conservatrice, statica e anche con una bassa dignità, come quasi tutti i mestieri manuali.
Quindi abbiamo pensato a come avvicinare i giovani e come mostrare loro il potenziale innovativo e la dignità che questi lavori in realtà possono offrire anche andando incontro ad alcuni valori che sappiamo che i giovani hanno: il rispetto del lavoro, l’autonomia della gestione del tempo, la dimensione coinvolgente e creativa di lavori come questo che crea anche occasioni di apprendimento continuo. L’urgenza era dare elementi di conoscenza alle nuove generazioni e d’altra parte siamo anche convinte che, come ho detto all’inizio, il mestiere, la cultura del progetto vada nutrita e quindi sia necessario liberare questo potenziale innovativo.
Per farlo, uno dei modi è quello di guardare fuori da sé, di guardare verso ciò che è altro, e quindi in questo senso abbiamo provato ad abbandonare il già noto e abbiamo scelto di mettere al centro della riflessione teorica, ma anche delle attività pratiche di cui tra poco parlerò, ciò che non rientra nel sentire comune, nelle categorie predefinite, quello che sfugge al pensiero omologato, che caratterizza più di altri la nostra contemporaneità.
L’alterità per noi è questo, è un’occasione di ricerca, è un percorso difficile che si scontra con l’ignoto e quindi contempla errori, deviazioni e non solo perché si scontra anche con una tensione innata a ripercorrere le vecchie strade, anche con le rivendicazioni, le chiusure identitarie che sono molto radicate nel settore dell’artigianato e queste rivendicazioni negano il dialogo e la contaminazione che sono invece ciò che noi vogliamo promuovere.
Per questo abbiamo fatto alcune cose che adesso proverò ad elencare. Una di lunga durata, quello che noi chiamiamo il Programma Residenze.
Abbiamo rinnovato il sostegno a un programma di Fondazione Cologni Dei Mestieri D’Arte che si chiama “Una scuola Un Lavoro” sostenendo la borsa di studio per l’apprendistato di un giovane artigiano in fase di formazione; abbiamo instaurato una relazione forte con l’Accademia di Belle Arti di Sassari; abbiamo aggiunto al nostro programma del festival dei momenti di pratica laboratoriale attraverso dei workshop tenuti da artigiani e per non disperdere questi saperi e la conoscenza abbiamo fatto una video documentazione in in realtà virtuale 180° di dieci botteghe artigiane in Sardegna. Questo è l’inizio di un percorso di mappatura che vuole appunto preservare nella memoria le storie, le tecniche, ma anche gli spazi di lavoro di alcune realtà che stanno andando scomparendo.

Il coinvolgimento di studenti e giovani designer è uno degli elementi chiave di questa edizione. Cosa può insegnare loro un festival come ArtiJanus/ArtiJanas e quale valore ha questo tipo di esperienza formativa sul campo?
Il programma residenza era abbastanza standard, prevedeva fino a quest’anno l‘incontro tra due designer di fama selezionati da Fondazione Cologni Dei Mestieri D’Arte, da Triennale Milano e da noi.
Questi designer avrebbero dovuto fare un progetto da realizzarsi poi in una bottega artigiana in Sardegna. Le due edizioni fatte sono state di grande successo, ci hanno lasciato molto soddisfatte, ma quest’anno guardando i giovani abbiamo fatto proprio una virata e quindi siamo stati coinvolti e abbiamo accolto con grande gioia l’invito di Alba Cappellieri, professoressa ordinaria al Politecnico di Milano, docente del corso di Design del Gioiello e dell’Accessorio Moda e non solo, abbiamo lavorato con una classe del corso del terzo anno del Politecnico di Milano, portando delle suggestioni rispetto al linguaggio e all’immaginario dell’artigianato locale. Gli studenti in maniera molto libera, guidati benissimo dai loro tutor e docenti, hanno progettato delle collezioni e due di queste collezioni sono state selezionate da una giuria qualificata per essere realizzate all’interno di due botteghe artigiane sarde.
Due studenti quest’anno hanno fatto una bellissima esperienza in due botteghe. Il settore scelto appunto era la gioielleria e le collezioni realizzate sono esposte qua al festival in questi giorni insieme alla video documentazione di questo incontro e di questo scambio tra i giovani e gli artigiani”. Per la video documentazione a 360 abbiamo provato ad usare nuovi linguaggi sempre per lo stesso motivo, avvicinare le nuove generazioni. Tutti i video sia a quelli delle 10 botteghe che quelli delle residenze sono visibili in modalità immersiva attraverso degli oculos che mettiamo a disposizione dei fruitori.

Abbiamo coinvolto un’altra università del territorio, questa volta parliamo del Dipartimento di design della facoltà dell’Università di Sassari Alghero. Con loro abbiamo fatto un lavoro ancora una volta di tipo semi-residenziale. Una classe di studenti ha fatto un’esperienza di incontro con una casa scuola di arte tessile in cui delle donne con sofferenze mentali utilizzano il linguaggio della tessitura come strumento di inclusione sociale, ma anche come modalità terapeutica. Gli studenti sono entrati in contatto con questa bellissima realtà del sud della Sardegna e hanno poi elaborato dei progetti che traducono gli ambienti della casa scuola in cui le donne vivono e fanno esperienza di vita e di relazione in progetti. Questi progetti sono stati poi a loro volta tradotti in arazzi dalle donne.
L’ultima esperienza che coinvolge le due giovani generazioni è proprio il coinvolgimento dell’Accademia di Belle Arti di Sassari che ci ospita nei suoi spazi anche durante il festival. L’Accademia ha lavorato all’autocostruzione di un ambiente, una cupola geodetica, che appunto è in mostra anche lei nei giardini dell’Accademia.