Fondazione Prada presenta “Sueño Perro: Instalació Celuloide de Alejandro González Iñárritu”, una mostra multisensoriale concepita dal regista messicano, 5 volte Premio Oscar, ed è qualcosa di completamente diverso dalle mostre che abbiamo finora visto.
Concepita per i 25 anni dall’uscita del suo leggendario film d’esordio, “Amores Perros”, è allestita fino al 26 febbraio al piano terra del Podium di Fondazione Prada a Milano, poi andrà a LagoAlgo di Città del Messico e poi al LACMA di Los Angeles.
Ci vogliono – dice Iñárritu – almeno 50 minuti per vedere questa sua nuova creatura, a metà tra film e arti visive: in realtà si potrebbe stare dentro un giorno interno e perdersi nel labirinto di stanze creato per l’occasione. Ci si muove in penombra, in quel tipo di atmosfera che c’era nei cinema di una volta quando la luce del proiettore irradiava lo schermo e attraversava lo spazio: di sala in sala, guidati solo dalla luce degli schermi alle pareti e dal sonoro, troviamo enormi proiettori analogici di pellicola 35mm che diffondono un flusso continuo di frammenti di “Amores Perros” e che raccontano, come dice il regista, storie nuove.

Immagine della mostra Sueño Perro Instalación Celuloide de Alejandro G Iñárritu
Foto
DSL Studio
Delfino Sisto Legnani e Melania Dalle Grave
delfino sl
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Courtesy Fondazione Prada
Oltre 300 km di pellicola – ha detto – erano stati tagliati per realizzare il film che lo avrebbe reso noto al grande pubblico e 25 anni dopo il mitico regista messicano ha deciso di riprenderli in mano, per creare un’installazione onirica (un sogno, forse un incubo), a metà tra nostalgia e speranza.
Si attraversa la mostra ipnotizzati dalle immagini, dai suoni, da questa luce che quasi “fuma” nella stanza: è un cinema fatto di carne e sangue quello che Iñárritu propone da Prada (ed è la sua terza collaborazione con la Fondazione presieduta da Miuccia Prada: l’installazione sperimentale “Carne y Arena”, realizzata nel 2017, venne premiata con un Oscar speciale). Un esperimento che ci pare un modo per rivivere il passato senza farsi sopraffare e per ragionare anche sulla fisicità della pellicola in un mondo di immagini sempre più digitali.
Per questo – contrappunto tutt’altro che secondario della grande installazione – va dedicato del tempo anche all’allestimento visivo e sonoro al primo piano del Podium, concepito dallo scrittore e giornalista messicano Juan Villoro: “Mexico 2000: The Moment That Exploded” è costituito da una traccia audio davvero ben narrata e da materiale fotografico e documentaristico utile a raccontarci il contesto politico e sociale, il caos e i cambiamenti che Città del Messico ha vissuto all’inizio del nuovo millennio, il periodo in cui “Amores Perros” è stato girato.

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Delfino Sisto Legnani e Melania Dalle Grave
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Courtesy Fondazione Prada
Per chi vuole, poi, la programmazione dl Cinema Godard di Fondazione Prada si presenta questo mese come un’immersione nell’universo cinematografico di Alejandro González Iñárritu (le date della rassegna si trovano sul sito, la masterclass in cui sarà presente il regista, fissata venerdì, è già al completo).
Di nero (Prada) vestito e sneakers ai piedi, Iñárritu ha voluto essere presente di persona all’opening di questa sua mostra-installazione, a Milano: non è stato, il suo, un intervento di circostanza ma un confronto con la stampa durato più di un’ora.
Ecco allora gli estratti più significativi dell’ Iñárritu-pensiero, utile vademecum (più di tanti altri nostri racconti) per apprezzare e comprendere ciò che è esposto da Fondazione Prada (e peraltro Sueño Perro è un titolo quasi intraducibile in italiano: sogno canino, sogno cagnesco, sogno bastardo: voi che cosa proponete?)
Perché questo progetto
«Il progetto è il culmine di un’esplorazione durata sette anni, intrapresa senza un intento specifico o una pianificazione predefinita, ma con il solo desiderio di sperimentare e scoprire. L’obiettivo non era di natura intellettuale o di ricreare una narrazione tradizionale, quanto piuttosto di indagare ciò che si nasconde dietro o dentro un film realizzato venticinque anni prima. Tutto è iniziato quando ho scoperto che esistevano ancora i rulli di pellicola 35mm di “Amores Perros”: quel film, realizzato in un brevissimo lasso di tempo e con un budget estremamente limitato, aveva comportato l’utilizzo di una quantità significativa di pellicola per le riprese, si parla di quasi 300 km! Tuttavia, il montaggio finale di due ore e trentasette minuti corrispondeva a soli 15.000 piedi di pellicola, evidenziando come solo l’1% del girato venga effettivamente utilizzato.. incredibile vero?»

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Courtesy Fondazione Prada
Come è stato concepito
«La rivisitazione di queste migliaia di metri di pellicola è avvenuta con uno sguardo completamente nuovo e diverso. Mentre in fase di realizzazione del film l’obiettivo era la ricerca di tasselli precisi per comporre la narrazione, questa nuova esplorazione si è concentrata su un flusso di immagini e sequenze senza schema, abbandonandosi a un’esperienza sensoriale. Il mio interesse era rivolto a cogliere dettagli o sequenze lunghe precedentemente scartate, scoprendo che ciò che era stato escluso dal montaggio finale trasmetteva un messaggio e una ricchezza molto diversa. Questa ricchezza richiama una memoria e un ricordo differenti, generati non solo dalle immagini stesse ma anche dalla luce che le accompagna».
La placenta e il digitale
«È emerso spontaneo il paragone con la placenta alla nascita di un bambino: pur preservando il bambino, la placenta contiene innumerevoli nutrienti, sequenze di DNA e proteine, così anche la pellicola rimasta si rivela un “materiale spettrale” che può dare origine a pezzi molto diversi e che si presta a essere accostato sperimentalmente. La pellicola 35mm stessa è capace di fare dichiarazioni meravigliose: abituati al digitale e ai pixel che “disumanizzano” la realtà, grazie al 35mm, anche attraverso i proiettori, possiamo avvicinarsi allo sguardo naturale che abbiamo sulla vita e sulla realtà»
La fruizione
«L’installazione è concepita come un’esperienza onirica, specialmente per le generazioni che non hanno mai conosciuto il cinema in pellicola. L’intento è di creare un “sogno di luce” accompagnato da un suono ricampionato nel corso degli anni, in collaborazione con Martin Hernandez, costituito dai suoni di Città del Messico, posti in contrasto con le immagini proiettate. Le immagini sono grezze, mostrando i codini della pellicola e le perforazioni, in un formato aperto. C’è un’unica fonte di luce e nessuna correzione del colore: per me questo è come “lavare i panni sporchi” davanti al pubblico, offrendo un flusso di immagini radicalmente diverso dal montaggio del film originale. Aggiungo che per realizzare tutto questo, sono stati necessari sette anni per selezionare le immagini e reperire i proiettori, molti dei quali provenienti da Locarno e ormai rari. È stato fondamentale il lavoro di ricerca di esperti capaci di far funzionare queste macchine obsolete, dato che gli operatori originali non esistono più e altrettanto importante è stata l’integrazione di elementi digitali, soprattutto per la parte sonora».

Chicche filosofiche finali
«Qui ho voluto allontanarmi dalla realtà fisica oggettiva, preferendo uno spazio intermedio che si avvicina a un’esperienza onirica e a un sogno. Mi interessa la “verità in cose che non necessariamente sono vere”. Sono molto cambiato, sono un’altra persona rispetto all’uomo che ha realizzato il film venticinque anni fa e non mi importerebbe minimamente rifare o rimontare il film, oggi. Mi piace piuttosto continuare l’avventura con linguaggi cinematografici nuovi e diversi, scoprendo come lo stesso materiale ripreso anni fa possa contenere nuove possibilità. Forse potremmo dire che l’installazione somiglia a una successione di murales messicani. In Messico amiamo i murales, il massimalismo, non ci piace il minimalismo: a noi piacciono il guacamole, le cose forti, dense, concrete. Voglio vivere nel presente e se proprio devo andare a visitare il passato mi piace farlo alla luce del presente, per vedere se c’è una possibilità di novità. Il passato è pericoloso, ci fa annegare, ci assorbe: io voglio vivere qui, ora».



