Ai Weiwei a Bologna: “Who am I?” interroga l’umanità sul suo futuro

L’inaugurazione della mostra “Who am I?” è stata segnata fin dalla sua apertura dalle polemiche e lo scandalo dovuto al ritorno Vaclav Pisvejc, artista 57enne di origini cecoslovacche, che ha letteralmente frantumato un’opera di Ai Weiwei. Il suo nome è legato anche ad un altro atto violento, quello ai danni di Marina Abramović che, nel 2018, è stata aggredita dall’uomo che le ha spaccato una tela in testa davanti a Palazzo Strozzi, a Firenze.

Durante l’evento di inaugurazione, Pisvejc ha compiuto un gesto eclatante: è salito sulla base di una delicata scultura in porcellana, chiamata “Porcelaine Cube”, e l’ha distrutta, spargendo i frammenti verso il pubblico presente. L’opera, un cubo vuoto di circa un metro per lato, era collocata al primo piano, proprio all’ingresso della sala.

Lartista cinese Ai Weiwei durante lallestimento della sua mostra personale Who Am I a Palazzo Fava sede delle esposizioneìi di Genus Bononiae Roberto Serra Opera Laboratori Fiorentini

Il curioso fatto di cronaca ha attirato ulteriormente l’attenzione dei media sull’esposizione, ritenuta uno degli eventi più attesi del contemporaneo. Ai Weiwei (Pechino, 1957), artista e attivista cinese di fama mondiale, noto per le sue opere provocatorie e satiriche che combinano istanze artistiche e politiche, debutta a Bologna presentando una serie di installazioni, sculture e video che indagano temi fondamentali come: morale, libertà d’espressione, diritti umani, rotte migratorie e crisi geopolitiche. La mostra, allestita a Palazzo Fava dal 21 settembre 2024 al 4 maggio 2025 e curata da Arturo Galansino, è promossa dalla Fondazione Carisbo nell’ambito del progetto culturale Genus Bononiae ed ideata con la collaborazione di Opera Laboratori e Galleria Continua.

L’emblematico titolo, ispirato da una conversazione tenuta dall’artista con l’intelligenza artificiale, riflette la commistione tra tradizione e sperimentazione che caratterizza l’intera opera di Ai Weiwei. Unione perfettamente rappresentata dalla location che mette in dialogo un meraviglioso ciclo pittorico cinquecentesco realizzato dai Carracci, dedicato ai miti romani e greci, con una serie di sculture di animali mitologici cinesi realizzati in bambù, carta e seta dall’artista basandosi sul più antico bestiario cinese, risalente al III secolo a.C.

Roberto Serra Opera Laboratori Fiorentini

Queste creature nascono dall’esigenza di valorizzare la memoria storica continuamente sottoposta ad un processo di cancellazione a favore delle icone del consumismo, in opposizione alla crescente omologazione culturale. Tematica affrontata anche in lavori iconici come “Dropping a Han Dynasty Urn” e “Han Dynasty Urn with Coca Cola”, con cui Ai Weiwei denuncia la distruzione della cultura cinese in seguito della Rivoluzione Culturale.

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Critica ripresa anche da “Forever Bicycle”, installazione composta da biciclette assemblate per formare una struttura dorata, che restituisce l’incredibile cambiamento sociale e urbano della società cinese. Altro simbolo di questo processo inarrestabile sono le centinaia di asce neolitiche e frammenti di porcellana posti ad evocare atmosfere ormai perdute. Resti messi a confronto con una serie di grandi opere realizzate con i mattoncini LEGO, che riprendono, con l’innesto di alcuni dettagli ironici, importanti capolavori della storia dell’arte.  

La “Venere Dormiente” di Giorgione viene trasformata in una versione pixelata costruita con mattoncini colorati, a cui viene aggiunta una gruccia, simbolo che richiama il problema degli aborti clandestini, un argomento tornato al centro delle odierne discussioni politiche. Opere tra cui spicca la riproduzione della celeberrima ultima cena leonardesca, dove l’artista sostituisce il volto di Giuda con il proprio, in un gesto chiaramente provocatorio. Accostata ad un omaggio al patrimonio artistico bolognese ossia la replica del quadro “Atalanta e Ippomene” di Guido Reni, di cui l’originale è tuttora conservato alla Pinacoteca Nazionale di Bologna.

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L’artista sceglie di utilizzare i mattoncini in quanto: “I pixel, la digitalizzazione, la segmentazione, la frammentazione e la disconnessione offrono una libertà unica di riproduzione”. E aggiunge: “Uso il LEGO come materiale di creazione in gran quantità dal 2014, poiché è il giocattolo con cui mio figlio giocava da piccolo. Una vita individuale può essere rappresentata da un mattoncino colorato. Il LEGO viene usato per trasmettere messaggi personali, le storie legate a me, alla mia infanzia e alla mia educazione sono racchiuse in essi”.

Ai Weiwei è dotato di una rara capacità: trattare argomenti di spessore con umorismo e leggerezza senza mai sminuire la loro importanza. Ne è un esempio la riproduzione in mattoncini della “Gioconda”, segnata dal lancio di zuppa degli ambientalisti sul dipinto con cui affronta l’emergenza climatica. Ironia che emerge anche negli “Study of Perspective”, brillante gioco di parole con cui presenta una serie di fotografie il cui principale soggetto è un dito medio alzato di fronte ai simboli del potere, dalla Trump Tower, alla White House, fino al palazzo di Westminster, sede del parlamento del Regno Unito.

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Fotografie esposte a parete e appese niente meno che sopra una carta da parati raffigurante il dramma della migrazione nel Mediterraneo, gli sfollati, le persone in fuga dalla guerra o dall’oppressione. Le scene di migrazione invadono la sala occupando i muri, ma anche i fregi di alcuni vasi ispirati alla ceramica attica e ai bassorilievi babilonesi, messi a confronto con gli affreschi cinquecenteschi raffiguranti le storie dell’Eneide, a sottolineare l’universalità e la ripetizione dell’esodo forzato e della ricerca di una nuova patria attraverso i secoli.

Sala seguita dall’opera da cui nasce il progetto, il video che mostra Ai Weiwei mentre pone 81 domande all’intelligenza artificiali, sfidandola a rispondere a quesiti esistenziali e politici. Per ideare questa performance dialogata l’artista ha preso spunto dal testo delle “172 Domande al cielo”, attribuito al poeta cinese Qu Yuan e inciso sulle pareti dell’antico tempio di Chu. Inoltre, il numero di domande non è casuale, ma corrisponde alle 81 giornate trascorse dall’artista dissidente in una prigione cinese con l’accusa di evasione fiscale (2011), detenzione applicata allo scopo di reprimere il suo impegno politico.

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“Se gli umani saranno mai liberati, sarà perché abbiamo fatto le domande giuste, non perché abbiamo fornito le giuste risposte”, afferma Ai Weiwei. E spiega: “Non si tratta di libertà di espressione. Si tratta della libertà di porre domande. Tutti ne hanno il diritto”.

Conclude il percorso espositivo un’area dedicata alla lunga serie di abusi e ritorsioni messe in atto dal regime cinese nei confronti dell’artista, colpevole di aver criticato sui suoi canali social i casi di corruzione e inefficienza governativa che hanno aggravato la catastrofe del terremoto dello Sichuan nel 2008. Sezione arricchita da un cortometraggio che ripercorre parte della vita e la carriera dell’artista come l’installazione di “Sunflower Seeds” al Tate Modern di Londra, la demolizione dello studio di Shanghai e la reclusione illegale a cui ebbe seguito un’ampia sollevazione popolare. Dalle riprese emerge lo sfrenato ottimismo che da sempre caratterizza Ai Weiwei, trasformando le sue opere in manifesti contro la rassegnazione e lo status quo, in veri e propri simboli di speranza per un cambiamento radicale della società cinese.

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