Addio a Sebastião Salgado, il fotografo che ha raccontato il lato più selvaggio e fragile del nostro pianeta

Se n’è andato oggi, a 81 anni, uno dei più grandi fotografi documentaristi del nostro tempo. Sebastião Salgado, brasiliano, economista di formazione, fotografo per necessità interiore, ha lasciato un’eredità visiva e civile che va ben oltre la bellezza delle sue immagini. È morto a Parigi, dove viveva, a causa di una leucemia legata a una malaria contratta nel 2010 durante il progetto “Génesis”. Con lui se ne va una delle ultime voci capaci di coniugare etica, estetica e impegno ambientale senza retorica né compromessi.

Salgado ha fotografato il mondo scegliendo il bianco e nero non per vezzo stilistico, ma per restituire al soggetto tutta la sua dignità, senza distrazioni. Ogni sua immagine è costruita con una compostezza classica che, però, non anestetizza mai la realtà, al contrario, la esalta. Le sue fotografie sono quadri carichi di tensione, fatti di sguardi che interrogano, di paesaggi che resistono, di corpi che raccontano storie di fatica, esilio, sopravvivenza. Non c’è mai l’estetica della sofferenza, c’è piuttosto il rispetto per ciò che è irrappresentabile.

La sua carriera è un susseguirsi di progetti monumentali, tutti frutto di anni di studio, viaggi, immersione nei contesti: Workers, Exodus, Genesis e Amazonia sono mappe morali del nostro tempo. Con Workers ha restituito centralità alla figura del lavoratore in un’epoca che lo stava cancellando; con Exodus ha tracciato una geografia globale delle migrazioni; con Genesis ha cercato le origini incontaminate del mondo, mentre con Amazonia ha dato voce alla foresta e ai suoi popoli, con l’urgenza di chi sa che la bellezza è fragile.

In Italia, proprio nelle ultime settimane, il suo lavoro era protagonista della mostra Ghiacciai al MUSE di Trento, un’installazione site-specific che Salgado aveva concepito integrando dieci grandi fotografie del Parco Nazionale Kluane, in Canada, nello spazio architettonico del “Grande Vuoto” progettato da Renzo Piano. Un dialogo fisico tra arte, scienza e paesaggio, dove la presenza del ghiaccio – e la sua imminente scomparsa – diventano simbolo universale della crisi climatica. A Rovereto, al Mart, la mostra prosegue con una selezione più ampia di immagini glaciali, ma è a Trento, nell’essenzialità di quello spazio sospeso, che l’operazione diventa radicale. Qui Salgado non racconta solo cosa stiamo perdendo, ma ci obbliga a chiederci perché lo stiamo facendo.

Non è un caso che, accanto alla fotografia, Salgado abbia costruito uno dei progetti ambientali più ambiziosi del nostro tempo: lInstituto Terra, fondato insieme alla moglie e compagna di vita Lélia Wanick Salgado, ha riforestato migliaia di ettari di terra devastata nel Minas Gerais, restituendo a quel territorio la biodiversità perduta. Un gesto concreto, lontano dall’estetica eppure profondamente coerente con la sua visione fotografica: raccontare è importante, ma agire è indispensabile.

Nel 2014 il documentario Il sale della terra, realizzato dal figlio Juliano insieme a Wim Wenders, ha portato Salgado a un pubblico più vasto. Il film racconta il suo percorso umano e artistico con pudore e forza, mostrando la fragilità di un uomo che ha visto troppo, ma che ha continuato a credere nella possibilità di cambiare il mondo attraverso lo sguardo. Un ritratto sincero che ha saputo restituire anche il dolore e la crisi, l’ombra dietro la luce perfetta dei suoi scatti.

Salgado non ha mai voluto essere definito artista. Si considerava un testimone. E in effetti il suo lavoro è sempre stato al confine tra l’arte e il reportage, tra il documento e la contemplazione. Le sue fotografie non sono mai semplici da guardare, perché chiedono tempo, attenzione, coinvolgimento. La sua è stata una battaglia silenziosa ma fondamentale: restituire alla fotografia il suo ruolo civile, la sua potenza narrativa, la sua funzione etica.

Oggi che Salgado non c’è più, ci resta un archivio imponente di immagini, libri, mostre. Ma soprattutto ci resta un metodo, una disciplina dello sguardo, una lezione di rigore e passione.

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