Musei da vedere post quarantena: il Museo delle Trame Mediterranee

Il Museo delle Trame Mediterranee racconta la nostra identità culturale. Il museo raccoglie diverse tipologie di opere che fanno dialogare il passato con il presente, per ricordare la comune appartenenza ad una civiltà capace di coniugare insieme natura e cultura.

Mai come adesso ci troviamo a riconsiderare e ripensare il concetto di barriere e di frontiere, dell’identità culturale di un popolo, quella “struttura di codici” depositata nel tempo e in continua evoluzione che ci permette di fare esperienza del reale secondo un’interpretazione collettiva, condivisa. Esperienza che vive e si rinnova nella memoria, laddove per memoria si intende la peculiarità insita nell’uomo di trasmettere senso della propria esistenza. Ed è il museo, considerato come “contenitore di oggetti e testimonianze”, a trasformare la memoria delle cose in memoria culturale: prodotta, elaborata, comunicata e infine acquisita.

Il sistema delle piazze di Gibellina. Courtesy Giovanna Batolo

Il Museo delle Trame Mediterranee ha, in maniera particolare,  l’ambizione di voler essere contenitore e testimonianza dell’identità culturale di un popolo. Museo situato a Gibellina (Trapani), che in pochi, però, conoscono (io stessa, ad esempio, non ne avrei fatto esperienza se non mi fossi trovata lì per vedere il celeberrimo “Cretto di Burri”). Il museo ci restituisce la fitta e variegata trama della storia e della cultura di più popoli, la rete delle relazioni che unisce le sponde del Mediterraneo e l’arte. Scambi e connessioni, guerre e riappacificazioni, tra Spagna, Francia e paesi arabi, attraversando il Mediterraneo e la Sicilia. Va da sé che le collezioni presenti parlino diversi linguaggi: dall’arte arcaica, a quella classica; ceramiche, tessuti, gioielli, abiti, arazzi fino ad aggi, fino all’arte contemporanea. Il fil rouge è comunque molto potente: la koinè mediterranea affonda le radici nelle forme primitive dell’arte antica trovando poi una nuova interpretazione nelle avanguardie di inizio ‘900; forme e decorazioni comuni collocate lontano nello spazio ci parlano di come le trame dei popoli di questa parte di mondo si siano incrociate nel corso di secoli e di quanto questo sia nutrimento e ispirazione per l’arte di oggi.

Mimmo Rotella, Città del Sole, 1990 ca., Gibellina. Courtesy Giovanna Batolo

Accardi, Burri, Rotella, Paladino, Schifano, Beuys, Cucchi, Pomodoro, Isgrò sono solo alcuni dei grandi nomi che hanno dato il loro contributo al Museo, e alla città tutta, e che hanno trovato in Gibellina, un remoto paesino siciliano devasto da un potente terremoto, le radici della propria identità. Così per Boetti, il grande drappo processionale in raso “Prisenti”, diventa l’occasione per ripensare i temi fondamentali della sua ricerca: la manualità, l’esecuzione (in questo caso affidata alle donne della cooperative di Gibellina), l’interesse per le arti minori, la contaminazione di iconografie, la funzione sociale dei linguaggi visivi. Temi, questi, sperimentati precedentemente nelle celebri Mappe tessute dalle donne afgane. Le linee essenziali dell’Accardi rimandano intuitivamente alle decorazioni del mondo arabo, portandoci ad una riflessione sulle categorie del gusto occidentale. Non dimentichiamo poi che le opere proposte nel museo sono tutte site-specific, realizzate dagli artisti durante un grand tour  contemporaneo che ha visto in Gibellina il luogo dove trovare un’inedita e incontaminata bellezza nata dalle macerie del terremoto.

Museo della Trame Mediterranee. Courtesy Giovanna Batolo

Il devastante terremoto del ’68 fu, infatti, il doloroso espediente che spinse l’intellettuale e appassionato sindaco di allora, Ludovico Corrao a raccogliere una compagine di artisti e architetti chiamati alla costruzione di una nuova città: Gibellina Nuova sorge, così, a 18 chilometri a valle dalla città vecchia (la nascita del Museo ne è una conseguenza). Oggi Gibellina Nuova è un museo dell’architettura moderna, con la Chiesa Madre di Ludovico Quaroni, i Giardini Segreti di Francesco Venezia, la Porta del Belice di Pietro Consagra, il Sistema delle piazze di Laura Thermes e Franco Purini. La potenza del terremoto investì anche la concezione stessa del mondo: accanto alle forme armoniose degli artisti figurativi si venne ad insinuare una nuova creatività, che ha forza nell’astrazione e nella scomposizione. Sarebbe, forse,  troppo semplicistico affermare che dalle macerie non si può che risorgere, come una fenice. Dopo il momento della catastrofe, dopo quello del lutto individuale degli uomini, vi è quello della ricostruzione collettiva del percorso umano, dell’identità, basato sui valori della cultura, dello scambio e della cooperazione.

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