“Partiture illeggibili” in mostra da Labs Gallery

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“Partiture illeggibili” è la nuova mostra ospitata prima da Labs Gallery a Bologna e poi trasferita ad Artefiera.

“Partiture illeggibili” è un progetto a cura di Angela Madesani che si compone di due mostre: la prima mette in dialogo Greta Schödl, Leila Mirzakhani e Nina Carini presso Labs Gallery, in Via Santo Stefano 38 a Bologna dal 14 Dicembre 2019 al 22 Febbraio 2020; la seconda vede coinvolte Marcia Hafif, Max Cole ed Elena Modorati presso Artefiera Bologna dal 24 al 26 Gennaio 2020. Le due mostre presentano un dialogo sul segno attraverso i lavori di tre artiste storiche e tre contemporanee. Si tratta di artiste con percorsi assai diversi, riunite dalla curatrice in occasione della mostra sia da un punto di vista della tematica affrontata, che da quello della procedura dell’operare, intesa come esercizio quotidiano che coinvolge mente e corpo. Marcia Hafif (Pomona, 1929; New York, 2018) ha utilizzato per le sue opere la grafite sulla carta da disegno perchè, come lei afferma: «Sono i materiali più elementari, che si usano per fare arte, sempre a portata di mano e che non richiedono tempi di preparazione». I segni leggeri nelle sue opere creano partiture, in cui tempo e spazio si confrontano, senza produrre significati di sorta.

Da destra Nina Carini, Al centro della Luna, (dettaglio). Retro: panoramica Leila Mirzakhani, Mille vasi silenziosi e parlanti, Greta Schödl, Untitled (from Vibrations Series). Courtesy That’s Contemporary

Nelle opere su carta di Max Cole (Pittsburgh, 1937) il segno, ripetuto come in un mantra visivo, è protagonista assoluto. Spiega la curatrice nel testo in catalogo: «La sua è una sorta di disciplina segnica, è il filo conduttore della ricerca dell’artista americana. Quelle che all’apparenza paiono linee nette, orizzontali nello spazio astratto, in realtà sono righe di diversa entità in cui brevi pulsioni verticali fanno da contrappunto in una dimensione ritmica». Anche per Greta Schödl (Hollabrunn, 1929) la meditazione è un aspetto portante del lavoro. Ancora Madesani: «Nella ricerca dell’artista austriaca l’aspetto progettuale è assente. I suoi lavori, di diverse grandezze, sono al di là di una dimensione temporale precisa. Sono opere diacroniche che uniscono più momenti, in cui la datazione perde talvolta il suo senso».Nei suoi libri-opera, quasi tutti in copia unica, sono incollati frammenti di natura, pagine di antichi libri di soggetto sacro e parti d’oro. «Scrittura come segno che istituisce il senso in un’accezione che rimanda agli archetipi, a una sorta di momento primario, in cui è il segno che graffia la terra e stabilisce delle coordinate rispetto alle quali è possibile orientarsi», così Elena Modorati (Milano, 1969) descrive il suo modo di vedere il segno. Nelle sue opere vi sono dei riferimenti alla pittura fiamminga, alla sua dimensione intima e nostalgica.

Da destra: Nina Carini, Cielo e Acqua + 101. Leila Mirzakhani, Respirare. Courtesy That’s Contemporary

Le opere di Leila Mirzakhani (Teheran, 1978) sono realizzate con una tecnica essenziale, matita su carta così come era per Marcia Hafif. Nei suoi lavori il pensiero è dominante, mentre la tecnica è al suo servizio. La matita realizza il segno primitivo, archetipico, che riporta la mente al segno dell’uomo prima dell’avvento della storia. Quanto si vede è il frutto di un processo, che parte dall’artista stessa: le sue sono azioni, pensieri, rituali che affondano le radici nel zona più profonda del pensiero. Di Nina Carini (Sicilia, anni ottanta) sono in mostra opere installative. Al centro della luna è una lunga collana di sfere, grandi e piccole, che culminano nella luna, coperta da fili neri, che la collegano all’alto. La luna le tira i capelli, la trascina. L’indagine sul tempo, come per le altre artiste di “Partiture illeggibili”, è un elemento essenziale della sua ricerca, così come l’indagine sui temi del linguaggio. In mostra è Je t’aime (2019) composta da 110 fogli stampati a mano con inchiostro e trasparina. A ogni foglio stampato, è stata aggiunta la trasparina in dosi minime, foglio dopo foglio. Così che nell’ultimo la frase Je t’aime sparisce. È un’opera performativa. La scelta della frase non è casuale. «L’ho scelta perché è una delle frasi più complesse del linguaggio umano».

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