7 capolavori della Social Media Art che diventeranno leggenda!

Come Facebook, Twitter, Instagram e altri social stanno trasformando il mondo in cui viviamo, così anche i giovani artisti stanno sfruttando i social per produrre nuove e memorabili forme d’arte.

Che piaccia o no, i social media sono ormai parte integrante della nostra contemporaneità. Condividere i selfie è divenuta prassi quotidiana, la rilevanza è misurata in followers e likes e le notizie, reali o meno, vengono continuamente riciclate, discusse e distorte su Facebook, Instagram, YouTube e Twitter.  Fare i conti con il 21 ° secolo significa, almeno in parte, fare i conti con i social media.

Non deve sorprendere, quindi, che gli artisti abbiano iniziato a sperimentare con questo nuovo mezzo, cavalcando l’onda del movimento Net Art degli anni ’90, dove innovatori come Heath Bunting e Yael Kanarek guardavano al World Wide Web come nuova frontiera per la produzione artistica. Qui, abbiamo raccolto sette dei più interessanti progetti di Social Media Art degli ultimi anni.

Petra Cortright’s VVEBCAM, 2007

Stills from Petra Cortright’s WEBCAM (2007). Courtesy of the artist.

Caricato su YouTube appena due anni dopo il lancio del sito di video-sharing, VVEBCAM di Cortright è un progetto in cui l’artista guarda  nel vuoto di una webcam (o, in realtà, sullo schermo sotto la cam) mentre “Summer Frosby” di Ceephax fa da  sottofondo musicale e una serie di effetti di cartoni animati (fette di pizza ballerine, foglie che cadono, ecc.) lampeggiano sullo schermo. Il lavoro di Cortright è ora considerato una rielaborazione iniziale dell’obiettivazione di sé, in linea rispetto a ciò che potremmo definire “selfie culture”, ma con una svolta importante: lo sguardo annoiato e perso dell’artista simula la stessa espressione dell’utente passivo che ogni giorno visualizza contenuti digitali sul web. L’obiettivo è dimostrare che i contenuti dei social media rappresentano sì un aspetto vitale della nostra esistenza quotidiana ma anche banale e monotono.

Lauren Christiansen, Brad Troemel, and Other Artists: The Jogging , 2009-14

The Jogging, Web page on Tumblr

Questo progetto collettivo, guidato da Brad Troemel e Lauren Christiansen insieme a Joshua Citarella, Spencer Longo, Haley Mellin, Rachael Milton, Jesse Stecklow, Artie Vierkant, Andrew Norman Wilson e migliaia di altri artisti, è in parte un tentativo di risposta a una domanda secolare: “cos’è l’arte?” . L’originale  risposta di The Jogging è : “Roba che viene presentata come arte”. In risposta all’aumento delle raccolte di arte contemporanea online come Contemporary Art Daily e e-flux  questo gruppo ha creato una pagina di Tumblr per la visualizzazione di opere d’arte…inesistenti!
A differenza delle piattaforme precedentemente citate i post di The Jogging non mostravano opere d’arte realmente esistenti, ma opere fittizie, costruite usando Photoshop, accompagnate da didascalie con titolo, mezzo e  nome d’artista inventati. Il critico e curatore Kerry Doran sostiene che questo progetto abbia costituito una risposta ironica al fatto che le mostre di oggi siano maggiormente vissute attraverso la loro documentazione fotografica rispetto alla reale esperienza di visita. Perché dunque creare un oggetto solo per il gusto di essere fotografato quando esistono gli strumenti per simularlo?

Hennessy Youngman (Jayson Musson), “ART THOUGHTZ ”, 2010-12

The artist Jayson Musson, still from ART THOUTZ with Hennessy Youngman (2010). Courtesy of Youtube.

I 25 video di YouTube di Jayson Musson,  pubblicati sotto il moniker Hennessy Youngman, sono documenti vitali del passaggio dell’arte contemporanea da disciplina accademica a mezzo per tentare di costruirsi una carriera, un cambiamento precipitato in gran parte dall’ascesa dei social media. Nei video, Youngman, indossando un cappello a tema cartoon, commenta gli artisti e le pratiche artistiche così spesso esaltate nel contesto universitario, come l’estetica relazionale, la critica istituzionale e il post-strutturalismo. Il mix di humor e acume politico dei giudizi di Youngman, insieme a sovrapposizioni grafiche semplici ma efficaci, rendono le sue performance memorabili.

Sara Ludy, “Projection Monitor ”, 2010-14

Stills from Sara Ludy’s Projection Monitor (2010–2014). Courtesy of the artist.

Avete presente Second Life, il mondo virtuale lanciato nel 2003, creato da Linden Lab? Si tratta di una piattaforma informatica nel settore dei nuovi media,  in cui gli utenti accedono ad un mondo virtuale attraverso un avatar tridimensionale. Ma, come spesso accade, gli  utenti si sono gradualmente annoiati e hanno abbandonato Second Life.
Sulla scorta di Second Life Sara Ludy ha elaborato il progetto “Projection Monitor”. Ludy utilizza una vera macchina fotografica per riprendere immagini di paesaggi e interni di Second Life visualizzati sullo schermo di un computer, aggiungendo un ulteriore livello di rimozione al contenuto che viene fotografato, prima di pubblicarlo sulla pagina Tumblr del progetto. Ludy si concentra principalmente su scene quasi sempre prive di avatar, che sono allo stesso tempo pacifiche e leggermente inquietanti. Ludy si può considerare una sorta di e-archeologo che documenta un’antica “ civiltà web” che altrimenti sarebbe stata dimenticata.

Constant Dullaart, High Retention, Slow Delivery , 2014

Installation view of Constant Dullaart’s “High Retention, Slow Delivery” (2014) at Future Gallery. Courtesy of the artist.

L’artista olandese Constant Dullaart è noto per una varietà di progetti concettuali incentrati su Internet e le tecnologie digitali. Questo, tuttavia, è abbastanza semplice: per $ 5,000, Dullaart ha acquistato circa 2,5 milioni di followers su Instagram, che ha distribuito tra un gruppo di clienti del mondo dell’arte (tra cui Hans Ulrich Obrist, Ai Weiwei, Petra Cortright e altri) in uno sforzo per “equalizzare” la loro apparente rilevanza sul social. In un mondo in cui la tua “influenza” si estende (o sembra estendersi) in base al numero di followers, l’elargizione condivisa di fedeli sostenitori rappresenterebbe, dunque, un tentativo quasi socialista di redistribuzione della ricchezza. Naturalmente, tale ricchezza è solo virtuale. La domanda diventa allora la seguente: dove risiede il valore reale dei seguaci? Nel 2014, il gesto di Dullaart è stato spesso letto come un commento sul vuoto ideologico creato dai social media, ma, in un momento in cui i social e la realtà politica sono sempre più connessi (basti pensare alle elezioni statunitensi del 2016), un esercito di falsi seguaci online può davvero  diventare uno strumento di potere nel mondo reale.

Amalia Ulman: Excellences & Perfections , 2014

Still from Amalia Ulman’s Excellences & Perfections courtesy of Instagram.

Questo progetto è stato lodato come “il primo capolavoro di Instagram” dal London Telegraph e si è guadagnato i suoi spot in spettacoli dalla Tate Modern al New Museum. Nel corso di sei mesi nel 2014, l’artista argentina ha documentato quello che sembrava essere un viaggio personale alla scoperta di sé sul suo profilo Instagram. Attraverso foto e didascalie, la Ulman ha raccontato la sua nuova vita a Los Angeles, presentandosi come l’archetipo Instagram di It Girl, tingendosi  i capelli biondi, aderendo a una dieta rigorosa ma di tendenza, postando cliché ambiziosi e ostentando apparente ricchezza. La Ulman ha rivelato che la vera motivazione alla base di questo progetto è stata quella di sfidare ciò che un’ artista femminile è “supposto” essere nell’era attuale, indicando la distanza tra l’auto-presentazione online del successo delle donne e la realtà delle loro vite.

American Artist: A Refusal , 2015-16

Still from American Artist’s A Refusal (2015–2016). Courtesy of the artist.

Il progetto di American Artist  è un sottile promemoria dell’economia nascosta nel cuore di siti apparentemente “liberi” come Facebook. Nel corso di un anno intero, l’artista ha cancellato tutti i contenuti che avrebbe normalmente pubblicato su Facebook: le foto sono diventate rettangoli blu che ricordano la “schermata blu della morte” di Microsoft, mentre i messaggi di testo sono stati oscurati come fossero documenti governativi da censurare. Il risultato è il ripudio del modello di business di Facebook, in cui gli utenti forniscono manodopera e contenuti gratuiti, pagati solo in “Mi piace”, che a loro volta attirano più persone e, infine, inserzionisti, che ovviamente pagano i proprietari della piattaforma per il privilegio di raggiungere i propri followers. Cercando di uscire da questo sistema senza uscirne veramente del tutto, l’artista svela una sorta di crudeltà al centro del social media; come scrive nella sua dichiarazione sul progetto, le piattaforme come Facebbok offrono agli utenti un’esperienza  “[a]s if the faces of those they love or admire are being dangled from a string in front of them — plainly out of reach, but close enough to keep them running on a treadmill that fuels the spectacle of society.”

 

Leggi l’articolo originale non tradotto di artnet a questo link

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