ITALIA 70- I NUOVI MOSTRI, Fondazione Trussardi riflette sull’Italia che (non) cambia

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La nuova mostra diffusa nella città di Milano è l’ultimo progetto di Fondazione Trussardi, curato da Massimiliano Gioni

La tigre che spinge la carrozzina nell’eleganza pittorica di Shafei Xia. Il leopardo (che realmente) avanza con il passo deciso tra le tazze di cappuccino, nel primo piano fissato nelle immagini fotografiche da Paola Pivi. Il ritratto di Anita di Giulia Andreani e il corvo bianco (History of a Hug) di Petrit Halilaj, metafora di una storia personale e di una relazione tra specie. Sono solo alcuni dei 70 (anzi 68) lavori presenti nella mostra diffusa nella città di Milano. Opere nuove o riproduzioni affisse sui muri, dal centro alle aree più distanti, che disegnano una mappa segreta, per volere del suo curatore Massimiliano Gioni, che obbliga il pubblico a una caccia al tesoro intorno ai quartieri.

L’operazione di Fondazione Trussardi replica l’esperimento del 2004, in cui gli artisti erano solo 16, e si inserisce in un contesto significante per un ordine di ragioni diverse. Una decontestualizzazione del linguaggio (quello commerciale), e la rappresentazione formale della natura nomade dell’identità della fondazione. Poiché dalla sua nascita (1996) l’indirizzo scelto dalla presidente Beatrice Trussardi, è stato quello di non avere un luogo stabile, ma di attivare e riattivare il tessuto cittadino. Che fossero spazi già esistenti, piazze, luoghi e aree dismesse, con interventi temporanei e accessibili a tutti (gratuitamente).  

Il manifesto pubblicitario è certamente espressione di un linguaggio diffuso, e ben noto anche al grande pubblico. Le società contemporanee sono cresciute attraverso la pubblicità dei canali tradizionali, dai nuovi media, e dalla pubblicità esposta nei non luoghi augiani di passaggio (stazioni, metropolitane, centri commerciali…), e nella topografia delle città. Manifesti spesso inosservati, che sembrano far parte di un corredo urbano naturalmente indotto dall’umano, che è parte integrante dei grandi agglomerati in cui vive. Documenti che si apprestano a diventare materiale d’archivio, per raccontare attraverso la cultura materiale i cambiamenti delle società. 

Acciaio, tessuto, piume, pelle, legno originale del Kosovo, silicone, vernice, fibre sintetiche
200 × 60 × 60 cm
Courtesy l’artista; ChertLüdde, Berlin; Mennour, Paris. Foto di Trevor Lloyd 

Quello stesso oggetto può diventare spazio da colonizzare, al di là del suo utilizzo e significato commerciale, 

per proporre una modalità diversa di dialogo con un pubblico sempre più ampio. In occasione della settimana dell’arte (appena passata) la mostra ITALIA 70- I NUOVI MOSTRI, per circa due settimane, presenta opere nuove o riproposte sui manifesti, di artisti di generazioni diverse. Da Ambra Castagnetti, Binta Diaw, Giulia Cenci e Jacopo Milani, a Giorgio Andreatta Calò, Tomaso Binga, Lupo Borgonovo, Marcello Maloberti. Ma ci sono anche Linda Fregni Nagler, Lorenza Longhi, Giuseppe Penone, Rudolf Stingel, Nico Vascellari e Francesco Vezzoli, solo per citarne alcuni. 

Dicevamo 70 opere meno due. Poiché nonostante l’intento del progetto sia quello di attivare una riflessione sull’Italia, come richiesto dal curatore agli artisti, il Comune ha vietato l’affissione di due opere, perché in violazione di un regolamento applicato alle comunicazioni pubblicitarie. Da un punto di vista squisitamente tecnico nulla da obiettare, un regolamento va rispettato. Ma ci troviamo in un contesto di matrice artistica che utilizza il linguaggio della pubblicità per sollecitare una riflessione, che esula quindi da aspetti puramente commerciali. La pistola sul manifesto di Maurizio Cattelan non promuove la vendita delle armi, poiché quell’oggetto di offesa e difesa (a seconda delle circostanze) affiancato a un testo “Ribellati, L’unica prigione è la tua mente”, ne sovverte l’immagine, e partecipa a uno spostamento di senso. Così come i soggetti con il bastone in mano sullo sfondo del Castello Sforzesco ne “La teppa” di Giangiacomo Rossetti, non sono un palese incitamento alla violenza, ma piuttosto ricordano con un linguaggio pittorico che richiama i dipinti del passato, fatti storici di una Milano nel primo trentennio del Novecento, in cui un gruppo di criminali consumavano azioni violente nei confronti di cittadini filoaustriaci. 

Paola Pivi, Leopard, 2007–2023
Dalla performance One Cup of Cappuccino then I Go, Kunsthalle Basel, Svizzera, 2007
Courtesy l’artista e Massimo De Carlo. Foto di Hugo Glendinning

Guardando i lavori degli artisti esposti cogliamo urgenze, preoccupazioni, provocazioni, che devono farci interrogare su come stiamo gestendo il presente, su ciò che vogliamo contribuire a costruire. La guerra ne War is over di Roberto Cuoghi, e in un’idea di conflitto (con il mondo, il corpo, con la natura) nel mirino o nella mappa di Grazia Toderi, in un lavoro del 2020. Il desiderio di Respect di Monica Bonvicini, o di un cambiamento per Marinella Senatore, e per Yuri Ancarani, nella locandina del film Il popolo delle donne del 2023. Ma è anche la solitudine di Ovoid Solitude, frame della performance di Sislej Xhafa, e quella di Noland nella pittura di Gugliemo Castelli

Shafei Xia, Baby, Let’s Go to the Beach, 2022
Acquarello su carta di sandalo intelata, 121 x 117 cm
Courtesy l’artista e P420, Bologna
Foto Carlo Favero

Non è forse proprio questo il momento storico migliore, per attivare una profonda riflessione sull’uomo e il suo tempo? Mantenendo una certa lucidità (nel guardare anche quello che non vorremo mai vedere, ma cui assistiamo quotidianamente nelle nostre città, nelle tribune politiche, sugli schermi televisivi, come nella scena dipinta da Rossetti). Nell’esercitare un’incontestabile libertà di pensiero (come scrive Cattelan) di cui evidentemente non tutti dispongono. Perché reclusi nei nuovi dogmi postulati dai narratori contemporanei, e nei pregiudizi figli di formulazioni ormai incapaci di analizzare pensieri più complessi. Tutto sommato alle armi ci siamo abituati da tempo (il fatto che vengano utilizzate per difesa o offesa dipende dagli interessi economici e ideologici del momento). In conclusione, le qualità citate sopra, sebbene possano rappresentare un lusso, non sono riservate a pochi come si potrebbe immaginare con un altro genere di oggetti materiali, che rientrano in questa categoria privilegiata. Ma sono invece una possibilità realistica per coloro che avranno il coraggio di desiderare profondamente un cambiamento. 

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